“Sui migranti l'Italia non è più sola”. Sarà solo una coincidenza, ma le parole pronunciate con soddisfazione dal premier Giuseppe Conte all'uscita della lunga notte di trattative al vertice Ue di Bruxelles sono le stesse identiche usate nel novembre del 2015 dall'allora presidente del Consiglio . Oggi come allora, ma allora con sbarchi molto più allarmanti, il tema immigrazione è al centro del dibattito europeo. E oggi come allora, i leader Ue annunciano grossi investimenti per l'Africa per contenere i flussi di migranti. Con la speranza che, stavolta, gli impegni si traducano in realtà.
I dubbi di Salvini
L'accordo raggiunto nella notte a Bruxelles, secondo quanto dichiarato da Conte e dal presidente francese Emmanuel Macron, sembra avere le premesse per farlo. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha ammesso che c'è "ancora molto lavoro da fare per riunire punti di vista diversi", mentre il ministro degli Interni Matteo Salvini, a Radio Capital, mette le mani avanti: “Non mi fido delle parole, vediamo che impegni concreti ci sono perché finora è sempre stato 'viva l'Europa viva l'Europa', ma poi paga l'Italia”.
In effetti, il testo sottoscritto dai leader Ue non ha un valore legislativo, ma rappresenta una sorta di carta di intenti. Del resto, due anni fa gli allora capi di Stato e di governo si erano impegnati solennemente a riformare le regole di Dublino entro il giugno 2018, ossia in questo vertice. Ma a parte un breve accenno alla riforma, nelle conclusioni di stanotte sventolate con orgoglio da Conte mancano passi avanti concreti.
La riforma di Dublino
Manca innanzitutto la richiesta italiana (e del Parlamento europeo) di rendere automatica la redistribuzione dei richiedenti asilo che arrivano sulle nostre coste. A parte il principio del “Chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”, nel testo non si vede altro. Se non un generico impegno a fare in modo che "sul territorio dell'Ue chi viene salvato secondo il diritto internazionale” sia “preso in carico sulla base di uno sforzo condiviso, attraverso il trasferimento in centri controllati istituiti in alcuni Stati membri, solo su base volontaria". Nessuna redistribuzione automatica, insomma, come chiesto dai paesi di Visegrad (Viktor Orban in primis), ma solo un impegno su “base volontaria” e “senza pregiudizio per la riforma di Dublino”.
Il nodo dei "centri chiusi"
Inoltre, nei centri chiusi, si legge ancora nel testo, dovrebbero essere effettuate in modo rapido e "con il pieno sostegno dell'Ue" le procedure per "distinguere tra migranti irregolari, che saranno rimpatriati, e chi necessita di protezione internazionale, per cui si applicherà il principio di solidarietà". In sostanza, la ridistribuzione dei richiedenti asilo tra alcuni Stati membri sarà possibile solo per quei paesi in prima linea che istituiranno i centri chiusi.
Un passaggio che rischia di vanificare il traguardo raggiunto da Conte nella notte e che sembra abbia consentito di sbloccare l'impasse tra l'Italia e la Francia (e da qui al resto dei paesi Ue), ossia avere impedito che nelle conclusioni comparisse l'obbligo di creare centri chiusi per i migranti. Un tema caro a Macron, visto che la Francia, ieri e alla vigilia del vertice, insisteva perché l'Italia desse l'ok alla creazione di hotspot di "nuova generazione più europei" sul modello di quanto fatto in Grecia dal 2016. Un modo anche per ridurre quei “movimenti secondari” verso il Nord Europa tanto invisi a Berlino e alla stessa Parigi. L'ok di Conte è arrivato, ma solo a patto che l'istituzione di questi centri non sia un obbligo, ma, ancora una volta, una scelta nazionale “su base volontaria”.
I soldi per l'Africa
Sul fronte della cooperazione con i paesi terzi, il governo gialloverde puo' comunque compiacersi di aver raggiunto lo sblocco di una tranche di 500 milioni per il Fondo fiduciario per l'Africa con risorse provenienti dalle casse centrali di Bruxelles (e quindi anche italiane), uno sblocco che va di pari passo con l'ok di Conte (messo in dubbio alla vigilia) alla seconda tranche di 3 miliardi per la Turchia (utili a chiudere la rotta balcanica dei migranti tanto cara a Merkel).
Proprio “il modello Turchia” era stato richiamato ieri dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, che chiedeva di destinare 6 miliardi alla Libia e ai paesi africani interessati dalla rotta migratoria del Mediterraneo centrale. Ma l'appello sembra rimasto inascoltato.
Le piattaforme di sbarco e le Ong
Strettamente connesso al tema Africa ci sono le piattaforme di sbarco nei paesi terzi (africani e non), ossia i porti in cui respingere i migranti che provano ad attraversare il Mediterraneo in direzione dell'Europa. Altro punto favorevole alla linea Conte.
Ma il vero passaggio delle conclusioni su cui il governo Conte sembra avere inciso di più è il principio per cui “tutte le navi che attraversano il Mediterraneo, quindi anche le Ong, devono rispettare le leggi e non devono interferire con le operazioni della Guardia costiera libica”. In realtà, le Ong non sono citate espressamente nel testo, ma è chiaro che il riferimento è a loro. Un passaggio che in qualche modo dà un avvallo politico al braccio di ferro di queste settimane tra Salvini e le Ong impegnate nel salvataggio dei migranti in mare.
Una posizione, quella del leader della Lega, che sembra fare comodo a tutti a Bruxelles. Perché in fondo, se proprio non si riesce a trovare l'intesa su come condividere l'accoglienza di chi arriva in Europa, la prima cosa da fare è bloccare i migranti li' da dove partono. O da dove vogliono fuggire.
Dario Prestigiacomo
Articolo realizzato nell'ambito del progetto Europa.Today e con il finanziamento del Parlamento Ue