È prematuro al momento avvalorare qualsiasi ipotesi: è una specie di mantra quello pronunciato dagli inquirenti da domenica scorsa, quando è stato ritrovato un corpo senza vita legato e impiccato a un parapetto della grande viabilità a Trieste, ma più passano le ore più gli elementi sembrano portare gli investigatori verso la tesi dei suicidio.
La Procura di Trieste in una nota, pur non avanzando ipotesi, aveva sottolineato che nessuno degli elementi emersi finora porta a pensare a un "decesso dovuto all'opera di terzi".
I primi esami sul corpo hanno infatti escluso l’ipotesi di tortura o percosse, e hanno riscontrato solo “lesioni post mortem” e i “segni tipici dell'impiccamento".
Anche la benda trovata sugli occhi del cadavere, una camicia arrotolata, e il fatto che avesse le mani legate da un’altra camicia, lasciandogli comunque un movimento di circa 30 centimetri, e i piedi bloccati con il nastro adesivo, secondo gli inquirenti sarebbero compatibili con il suicidio.
La morte risalirebbe a 36-48 ore prima del ritrovamento: ancora non si sa se l’uomo abbia raggiunto il punto del ritrovamento da solo o con altri, e sono in corso gli esami delle immagini delle telecamere, mentre sarà a breve disposta l’autopsia.
Sembra accertata invece l’identità dell’uomo che sarebbe un cittadino iraniano, B.K. le iniziali, nato a Teheran nel 1968, a Trieste da qualche mese regolarmente ma senza fissa dimora.
L’uomo era stato coinvolto nella rissa del 10 settembre nei pressi della stazione, ma soprattutto, elemento che avvalorerebbe la tesi del suicidio, si era sottoposto a una visita, presso l’Associazione Donk Humanitarian Medicine, che offre assistenza a chi per diversi motivi non ha accesso al Servizio Sanitario Nazionale. Il certificato ritrovato sul corpo diagnosticava una "sindrome ansiosa depressiva" e prescriveva la necessità di una visita psichiatrica.
Alessandro Martegani