Dopo un mese di Lockdown anche Trieste comincia a chiedersi con impazienza crescente quado finirà. Lo stesso sindaco della città, Roberto Dipiazza, non nasconde la criticità del momento, un evento senza precedenti, anche se, spiega, la città deve guardare al futuro.
“La situazione è complicata – dice -, basta pensare a una famiglia con due bambini, che magari vive in un appartamento di 50/70 metri quadrati: è difficile stare un mese a casa senza portar fuori i bambini. Ci sono poi un sacco di situazioni economiche che si sono bloccate, penso agli artigiani, o ai commercianti, quelli che vivono col cassetto, nel senso che la sera prendono l’incasso per fare la spesa. È una situazione a dir poco drammatica: quando cammini per la città l’atmosfera è surreale, non c'è nessuno per strada. Ieri sera sono tornato a casa dopo 14 ore di seduta del Consiglio comunale per approvare il bilancio, un consiglio riunito davanti al computer, e non c’era nessuno in giro. È drammatico, ma questa è la situazione”.
“Speriamo – continua - di cominciare a riaprire qualcosa quanto prima, magari dopo Pasqua, perché bisogna ripartire. Io sto lavorando ad esempio perché al più presto partano più cantieri possibile, in maniera che ci siano posti di lavoro e che gli operai possano percepire uno stipendio. Ho chiesto anche al Presidente della Regione Fedriga d’intervenire con Roma per semplificare la burocrazia, che in Italia blocca tutto: è tutto molto complicato, a in questo momento storico cerchiamo almeno di semplificare la burocrazia! Io sto già guardando al futuro, a far ripartire la città: per fortuna almeno il porto sta tenendo, e questo è un fatto positivo”.

“Sotto il punto di vista personale – aggiunge - devo pensare che vivo in un posto bellissimo, e non sono mai stato tanto tempo con mia moglie come in questo periodo. La mattina vado in comune, ma non si va fuori, non ci sono appuntamenti: per la città non è un bel momento. Con gli altri sindaci abbiamo deciso che per il 25 aprile saremo tutti sei in Risiera, ma non possiamo fare la solita cerimonia. Pensavo di aver visto la cosa peggiore della mia vita quando a Gemona, durante il terremoto, avevo visto tirar fuori cadaveri dalle macerie, ma questa in assoluto è la cosa peggiore, non solo per l'Italia, non solo per Trieste, ma per tutto il mondo. Nessuno poteva immaginarsi di vivere una cosa del genere”.
Ma a Trieste non ci sono problemi come quelli che si sono visti nel sud Italia, problemi sociali che poi sconfinano anche nella criminalità?

“Assolutamente no: i triestini sono molto ligi alle regole, prima pagano la multa e dopo la contestano. Trieste è una città di altissimo livello da questo punto di vista. Ora sono arrivati un milione e 700 mila euro, che ho messo a disposizione delle fasce più deboli sotto forma di buoni spesa. Ho ridotto le tasse, non si pagheranno alcune imposte, ho fatto quello che potevo. Ci saranno anche dei contraccolpi sul comune: banalmente non incassiamo le multe in questo periodo perché non ci sono macchine e in giro”.
Avete cercato di dialogare con la Slovenia e le realtà d’oltreconfine, per vedere se si può rendere più elastica questa frontiera che è tornata improvvisamente?
“La mia opinione è che si tratta di operazioni di politica interna. Il governo Janša ha voluto mostrare i muscoli appena arrivato, è normale che si voglia dire ‘sono arrivato io e metto a posto tutto’, ha fatto la stessa cosa fatto Kurz in Austria. Sono atteggiamenti che mirano al consenso politico interno. Detto questo aver visto di nuovo le pietre messe su una frontiera o i confini chiusi fa male: io sono tra quelli che si erano emozionati nel 2007 quando abbiamo tolto la sbarra al confine. È una situazione paradossale, noi non possiamo andare di là, ma ci sono molti che alla mattina vengono a lavorare da questa parte. Io comunque in questo momento mi occupo della mia città, della mia popolazione. Cerco di avere incontri, di risolvere tutti i problemi dei cittadini: quello fanno la Slovenia, l'Ungheria, o la Croazia m’interessa relativamente. Penso però al sindaco di Fiume, città della cultura 2020: anche noi avevano l’Esof, ma Fiume si è presa veramente una bastonata, e lo dico con grande tristezza”.

Alessandro Martegani

Foto: MMC RTV SLO
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