Partendo dalla Stazione centrale di Trieste in direzione periferia, attraverso la superstrada, un automobilista, oggi, lungo il percorso osserverebbe alcune differenze rispetto solo a pochi mesi fa.
Non troverebbe più due strutture “storiche” del capoluogo giuliano, come la Sala Tripcovich, demolita alla fine dello scorso dicembre, ed ora anche tre delle sei ciminiere “Cowpers” che costeggiavano la sopraelevata nella zona di Servola, che da oltre cent’anni caratterizzavano la linea dell’orizzonte della periferia triestina.
Le altre tre ciminiere rimarranno in piedi, a ricordare la storia dell’impianto siderurgico nato quando ancora Trieste era austriaca e che inevitabilmente seguì poi la storia della città in cui fu costruita. Una città che cambia, che si modernizza, che guarda ad un’industria eco-sostenibile e che almeno in questa seconda parte di abbattimento della storica Ferriera ha avuto maggiore rispetto della storia di chi là dentro ci ha lavorato una vita.
Niente fuochi d’artificio e nessun grande proclama prima della demolizione di ieri. Per le vie di Servola pochi curiosi, pronti a catturare il momento dell’esplosione con la fotocamera del telefonino. Alcuni residenti dai balconi osservavano, per gli ultimi istanti, quelle torri di mattoni e metallo che da sempre facevano parte del profilo di Servola. Pochi secondi, una nuvola di polvere e tutto è stato cancellato.
“Respiriamo per l’ultima volta questo schifo” si lascia sfuggire un passante, facendo intendere che tra le polveri innalzate dall’abbattimento possa esserci dell’amianto.
Da adesso a Servola si può pensare ad un nuovo futuro: è stato tagliato anche l’ultimo (simbolico) legame con il passato.
Davide Fifaco