In attesa della decisione del Consiglio di Stato, prevista per martedì prossimo, sul ricorso delle comunità islamiche di Monfalcone, le posizioni rimangono le stesse nella Città del cantieri, dopo la decisione della sindaca Anna Maria Cisint di non consentire funzioni religiose all’interno dei locali di due centri islamici in città.
A ritornare sul tema la stessa sindaca in un video postato sui suoi profili social, in cui ribadisce di aver applicato le norme, che non consentono di cambiare la destinazione d’uso dei locali e nemmeno di tenere delle riunioni di preghiera all’aperto in città. “A volte – ha detto - sfugge un aspetto importantissimo di questa vicenda, e cioè che ci sono i cittadini che hanno gli stessi diritti, non ci sono solo i gruppi di musulmani che hanno dei diritti. Peraltro noi riteniamo che, nel momento in cui arrivano in Italia, queste persone dovrebbero sapere, come probabilmente succederebbe a ruoli invertiti, che c'è la necessità di rispettare la legge, cosa che oggi non avviene, ad esempio per quanto riguarda l'utilizzo del velo integrale”.
Anche il Consiglio di Stato aveva concordato sul fatto che “la libertà di esercizio della religione non potrebbe di per sé giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri”, sposando quindi la linea della sindaca Anna Maria Cisint, ma aveva anche definito “ineludibile un immediato confronto” tra il Comune e le comunità islamiche per “individuare luoghi alternativi, ove praticare in sicurezza, anche solo provvisoriamente, il culto religioso condiviso”. Per la sindaca però, viste le norme, un incontro non potrebbe dare adito a soluzioni diverse.
“Ci è stato detto – ha spiegato - ‘il comune non fa il confronto’, ma, nel momento in cui, a fronte i temi già previsti dalla legge (cioè tu puoi pregare in un luogo che è stabilito dal piano urbanistico e all'interno devi comportarti in questo modo) c'è una sicurezza di cui tener conto, il confronto non è mediabile”.
Cisint in settimana aveva anche incontrato a Roma il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, riscontrando “un'ampia convergenza di posizioni rispetto alla necessità di mettere in atto una strategia stringente per il rispetto della legalità e dello stato di diritto, a fronte a una condizione che, ha detto la sindaca, “ha superato i limiti della sostenibilità sociale e urbana”.
Proprio il ministro Piantedosi aveva annunciato al Senato la chiusura del Silos di Trieste e il trasferimento dei migranti che vivono nella struttura in condizioni inumane sul Carso, ma, dopo le riserve della senatrice Rojc, che aveva presentato un’interrogazione sul tema, è arrivata anche la replica del Consorzio Italiano di solidarietà, organizzazione che si occupa di accoglienza ai migranti. Le parole del ministro, si legge in una nota “appaiono confuse e poco coerenti: l’Ostello Scout di Prosecco, che si finge di individuare quale nuova soluzione, è utilizzato in modo ininterrotto come struttura di prima accoglienza fin dalla primavera 2020, e ciò non ha evitato il prodursi della situazione di degrado del Silos”.
“L’utilizzo dell’Ostello - aggiunge l’ICS - non rappresenta di per sé alcuna soluzione se non verrà realmente attuato il piano di prima accoglienza e ricollocamento dei richiedenti asilo, e il Silos non potrà dunque essere chiuso finché tale luogo sarà costretto a svolgere le funzioni di una sorta di indegna “stanza di attesa” di richiedenti asilo, ai quali non viene assegnato il posto di accoglienza di cui essi hanno diritto, in chiara violazione delle normative vigenti”.
Alessandro Martegani