Silenzio stampa delle comunità islamiche fino al 19 marzo, quando è fissata la nuova seduta del Consiglio di Stato e nessuno si è presentato in piazza della Repubblica, presidiata dalla polizia, ma nei centri islamici di Monfalcone qualcuno si riunisce, si parla del significato del Ramadan e del sacrificio che rappresenta per i fedeli rispettare le ordinanze del Comune, che vietano di organizzare la preghiera nei centri, ma anche nella piazza centrale della città.
La tensione rimane però palpabile a Monfalcone, così come la determinazione della comunità islamica di non rinunciare a far valere il proprio diritto alla preghiera, e di ottenere quel confronto auspicato dal Consiglio di Stato, ma finora evitato dall’amministrazione comunale.
Arriviamo in serata in piazza della Repubblica, luogo presidiato dalla Polizia per timore di una nuova manifestazione o tentativi di tenere la preghiera serale, nonostante le indicazioni della Questura, che aveva indicato due aree alternative. Questa sera però la piazza rimane vuota.
Poco distante sorge il centro culturale di via Duca d’Aosta: la stessa Polizia, dopo averci chiesto chi fossimo e perché stessimo facendo delle foto alla piazza vuota, dove proprio oggi sono spuntate le transenne per consentire l’allestimento dei gazebo del festival letterario “Geografie”, ci indica dove si trova il centro, e lo raggiungiamo: all’interno una quarantina di persone stanno ascoltando un giovane imam che spiega, in italiano (un po’ per noi, un po’ perché, ci dicono, ci sono anche fedeli che vengono dalle comunità islamiche dei Balcani e l’italiano è una lingua comune) il significato del Ramadan, il periodo più atteso dell’anno per i musulmani. Non poter pregare assieme nel mese del Ramadan, ci spiega l’iman, è un doppio sacrificio, perché ogni preghiera in questo periodo vale centinaia di volte in più, e avvicina i credenti a Dio.
Quello di questa sera non è un incontro di preghiera, ma un’occasione per confrontarsi sul significato del Ramadan, e l’arrivo del presidente della comunità introduce anche in temi politici: si spiegano ai presenti i contenuti dalla nuova decisione del Consiglio di Stato sul ricorso presentato dalle associazioni che gestiscono i due centri islamici di via Duca d’Aosta e via don Fanin. I giudici amministrativi affermato che “la libertà di esercizio della religione non potrebbe di per sé giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri”, sposando quindi la linea della sindaca Anna Maria Cisint, ma definiscono anche “ineludibile un immediato confronto” tra il Comune e le comunità islamiche della città, per “individuare luoghi, anche alternativi, ove praticare in sicurezza anche solo provvisoriamente il culto religioso condiviso”.
I luoghi indicati dalla Questura, senza però il confronto auspicato, sono il parcheggio delle Terme Romane, in zona industriale, lontano dal centro e poco servito dai mezzi pubblici, e per la preghiera di metà giornata l’area verde sotto la Rocca, anche questa considerata impraticabile, a causa delle piogge. Una situazione che, come ci racconta Sani Buyan, consigliere comunale del Pd, di fatto impedisce a un terzo della popolazione della città di pregare e onorare il Ramadan: “Ieri ho visto in piazza tre pattuglie di polizia e carabinieri, stessa cosa oggi. Non so perché sia stato creato questo clima. Di fatto un terzo dei monfalconesi, regolarmente residenti, non ha un luogo dove pregare e il problema rimane. Adesso aspettiamo il giorno 19 la decisione del Tar, ma è necessario che il Comune si confronti con il centro islamico per trovare una soluzione, perché la gente in questo mese sacro, ha bisogno di purificare anche la mente e di un posto dove andare a pregare”.
Di opinione opposta la sindaca Anna Maria Cisint che, dopo la nuova precisazione del Consiglio di Stato, ha convocato una conferenza stampa, affermando che i giudici “hanno smontato le gravi accuse fatte al sindaco”, e che la decisione di non consentire la preghiera nei centri e in piazza della Repubblica non comporta alcun pregiudizio per la libertà di culto, che non può giustificare, ha aggiunto “una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella imposta dai pubblici poteri nell’esercizio dell’attività conformativa in materia urbanistico”.
Le posizioni quindi rimangono molto distanti, e ora si attende il prossimo 19 marzo, quando il Consiglio di Stato deciderà sulla richiesta di sospensiva dell’ordinanza comunale chiesta dalle comunità islamiche.
Alessandro Martegani