Santa Croce, Križ in sloveno, può essere considerato un laboratorio di convivenza fra la comunità slovena e quella degli esuli, giunti nel paese del Carso negli anni 50? Pare proprio di sì secondo l’esperienza di Sandor Tence, giornalista cresciuto a Santa Croce, e di Silvia Zetto Cassano, maestra e scrittrice, nata a Capodistria, e giunta nel paese da adolescente con l’esodo.
Tence e Zetto sono stati messi a confronto in un incontro moderato da Štefan Čok presso la biblioteca nazionale slovena di Trieste, in una sorta di replica, ha spiegato Čok, di un confronto avvenuto l’estate scorsa nel corso di un corso di formazione per docenti di storia organizzato al Narodni Dom e nella stessa Santa Croce.
La serata ha messo a confronto le rispettive esperienze: Zetto Cassano ha ricordato l’adolescenza a Santa croce, con le lunghe corse in autobus per andare a scuola a Trieste, un viaggio duro e disagevole con i mezzi di allora, ma, ha aggiunto fu un primo punto di contatto, come l’osteria, l’unico locale con la cabina del telefono, la panetteria, le altre botteghe, tutti erano punti di contatto fra le due anime del paese C’erano però due scuole, una slovena e una italiana, e perfino due chiese. I contatti all’inizio erano minimi ma le difficoltà di rapporto, vennero gradatamente superate proprio in questi punti di contatto, dove tutti dovevano necessariamente andare. “Gli esuli dovettero abituarsi a stare in mezzo a parole che non capivano, convinti che gli abitanti locali parlassero solo in sloveno per dispetto, ma, poco a poco, qualche parola cominciò a essere scambiata e anche qualche sorriso”.
Tence ha ricordato che la popolazione di Križ “era al 90 per cento di sloveni e comunisti": “Santa croce aveva una forte coscienza politica, con più di 100 morti nella lotta di liberazione, e l’arrivo degli esuli fu un trauma. Non c’era integrazione, c’erano due comunità, con una diffidenza che è durata a lungo, senza alcun contatto, a volte anche con scontri aperti”. “Era un’atmosfera simile a quella dei film di Peppone e don Camillo – ha aggiunto Zetto – con il prete italiano che metteva all’altoparlante della chiesa arie religiose per contrastare le canzoni comuniste della casa del popolo”; le stesse due chiese erano assolutamente separate, una della comunità slovena, una per gli esuli, con totale incomunicabilità, anche per le sepolture.
La svolta positiva, ha però raccontato Tence arrivò grazie allo sport, alla società Vesna, che per la prima volta negli anni ‘70 accolse figli degli esuli nelle formazioni giovanili. Stessa cosa avvenne per la società sportiva Santa Croce, che era stata fondata dagli esuli, e anche i nuovi parroci cominciarono a non fare differenze. “Anche il Circolo Istria varò una nuova fase di dialogo, e fu un segno importante il gesto di Monsignor Bellomi, che fece visita a entrambe le comunità e parlò in sloveno. La politica invece fu del tutto latitante: non fece nulla per favorire il dialogo”.
Da quei primi segnali l’integrazione aumentò, nonostante lo spopolamento del paese, che rimane comunque vitale: Zetto ha ricordato che la scuola italiana in tempi recenti cercò di alimentare i contatti con la scuola slovena, e di far conoscere ai bambini il paese; "si fecero anche dei corsi di aggiornamento su Santa croce per gli insegnati della scuola italiana”.
Ora, ha detto Tence, “Santa Croce rimane un paese molto vivo, con circoli culturali, circoli sportivi, una comunità attiva, con cinque bar e tre o quattro osterie, nonostante le difficoltà. Anche i corsi di sloveno organizzati dal circolo Vesna hanno avuto un’alta adesione e si collabora nello sport e nelle scuole”. “Quest’anno l’albero sarà acceso dai bambini delle due scuole, sono scomparsi i termini di Case nuove o Case vecchie, ma, soprattutto fra i giovani, si parla solo di ‘Santa Croce’, un unico paese, una comunità che dialoga: la cultura è sempre più avanti della politica”.
Alessandro Martegani