
I sei anni passati alla guida dell’ateneo triestino sono stati pieni di soddisfazioni, ma anche di sfide per Roberto Di Lenarda: professore di medicina, 60 anni a giugno, era stato eletto al vertice dell’Università degli studi di Trieste nel maggio del 2019, trovandosi subito ad affrontare l’emergenza covid, che aveva colpito soprattutto il funzionamento di scuole e atenei.
Anche da quel momento è partito il suo intervento, ricordando come “l’Università di Trieste si è distinta per la forte opposizione ad approcci antiscientifici, per aver mantenuto una non scontata didattica in presenza soprattutto per gli studenti dei primi anni”, ma ci sono stati anche passaggi intensi, come “la partecipazione del Presidente Mattarella all’inaugurazione dell’anno accademico” definita un “momento epocale, non solo per l’Università e la città di Trieste ma, più in generale, per le relazioni Italia - Slovenia. Alla nostra Università è stato riconosciuto il ruolo di promotore di questo processo, punto di raccordo e di alta mediazione”.
In tutto questo, dice Di Lenarda a margine della cerimonia, l’ateneo è cresciuto offrendo servizi migliori agli studenti: “Non voleva essere una celebrazione o altro – spiega riferendosi alla prossima fine del suo mandato -. È chiaro che il cambio di governance è un momento importante per un ateneo, tra l'altro è ormai certo che il prossimo rettore sarà una rettrice, quindi è una bella notizia. Sono stati sei anni molto impegnativi, suggellati anche da situazioni assolutamente inedite come il Covid, ma poi anche tutte le problematiche legate alle guerre, con una fase di maggiore attenzione per il sistema universitario. Sono state fatte tante cose, si può fare sempre fare meglio, ma cedo che oggi l'università Trieste sia più forte, più coesa, con una comunità molto motivata, che è nelle condizioni di poter affrontare i prossimi anni, che non saranno ovviamente facili, ma con tutti gli strumenti per fare bene, per crescere ancora: anche dal punto di vista comparativo rispetto alle altre università stiamo performando particolarmente”.
“Questo ovviamente ci fa piacere anche per la nostra comunità, per tutti quelli che lavorano con dedizione, quindi il mio ringraziamento va a tutti coloro che quotidianamente, magari con meno visibilità di quella che posso avere io, che fanno andare avanti così bene questa macchina”.
Nel suo discorso ho colto una critica, e non era nemmeno troppo velata, verso la politica tra i test di medicina e le risorse che mancano…
“Sì, però c'era anche una parte in cui ho riconosciuto alla politica capacità, intelligenza, lungimiranza. Non bisogna essere pro o contro la politica. Secondo me c'è una buona politica che supporta con forza e con intelligenza l'alta formazione, e in questa regione abbiamo la fortuna di essere supportati. Credo però che sia mio dovere sottolineare degli aspetti critici, che possono mettere a rischio la sicurezza del sistema, e le due cose che ho citato, cioè la legge delega sulla riforma d'accesso a medicina e una sottovalutazione del rischio connesso a una crescita eccessiva di una formazione delegata alle università telematiche, possano essere un rischio per il sistema universitario. Credo che un rettore, che tra l'altro è al sesto anno e magari è un po più libero, possa dire le cose un po’ più chiaramente, ma pacatamente, garbatamente. Lo deve fare e io mi sono sentito in dovere di farlo, perché questo messaggio deve essere chiaro. Ho anche detto che il Parlamento, legittimamente, fa le leggi e che noi doverosamente le rispettiamo, ma è bene che si sappia, e che almeno si possa dire, che questa cosa è una cosa sicuramente sbagliata”.
L'Università di Padova ha già detto che farà un semestre online, come farà Trieste?
“Premesso che io ancora confido che il buon senso porti a non partire quest'anno con questa riforma, perché anche tecnicamente è molto complesso in così pochi mesi organizzare una macchina di questo tipo, ci adatteremo a quelle che saranno le situazioni. Se, come è ragionevole pensare, sui nostri 200 posti avremmo 1000 iscritti, alternative non ne avremo. Se invece di 200 posti ne avremo 400, allora potremmo ragionare su soluzioni alternative: quello che noi stiamo facendo è essere aperti a tutte le opzioni, sperando di non doverne applicare alcune, o scegliendo la meno peggiore, perché di questo stiamo parlando”.
Per il prossimo anno ci saranno meno risorse per l'università e la ricerca?
“Io in altri momenti sono stato anche fortemente critico su questi temi, ma bisogna dire sempre le cose come stanno: per il 2026 non lo sappiamo, ma per il 2025 la legge di stabilità prevede un finanziamento per il sistema sanitario pubblico che è, se ricordo, di 170 milioni, superiore a quello dello scorso anno, e torna un po’ sopra il livello del 2023. È chiaro che c'è un tema di spese fisse, c'è un tema d’inflazione, per cui sicuramente non aumentano come noi vorremmo, ma non possiamo dire che diminuiscano. Resta il fatto che sono insufficienti, ma sono insufficienti storicamente: l'Italia è uno dei paesi industrializzati con il livello più basso di finanziamento, e questo poi si declina sulla scarsa crescita, perché alla fine la crescita viene con gli investimenti in ricerca e sviluppo, in applicazioni tecnologiche, e in fattore umano. Se noi non investiamo non possiamo farlo. Vi assicuro, lo dico su Trieste, e lo dico sul sistema universitario italiano, stiamo facendo i miracoli, perché pubblichiamo più della media dei ricercatori europei, formiamo molti più studenti rispetto ai finanziamenti che abbiamo, ma oltre un certo limite non si può andare”.
Alessandro Martegani