Forse non sarà il più amato dagli italiani, ma sicuramente è stato l’uomo più evocato fin da prima dello scoppio della crisi che lo porterà alla guida del paese.
Il nome di Mario Draghi, ex direttore generale del Tesoro, un passato in Goldman Sachs, governatore della Banca d'Italia ma soprattutto presidente della Banca centrale europea, indicato come il salvatore dell’Euro e dell’Europa, circolava nei corridoi dei palazzi della politica già da mesi, e la sua convocazione al Quirinale, visto il fallimento delle trattative politiche, non ha stupito più di tanto.
Una prima reazione alla sua convocazione, pur con un programma e una maggioranza ancora tutti da costruire, c’è già stata: i mercati hanno girato subito in positivo, e lo spread ha perso quasi dieci punti avvicinandosi ai livelli più bassi degli ultimi anni.
I mercati, ma anche il settore produttivo del paese si attendono da Draghi soprattutto un’operazione di stabilizzazione dell’economia, e di rilancio attraverso il Recovery Plan, che, stando ai ben informati, sarebbe da riscrivere per la terza volta, grazie alla sua grande esperienza in campo economico, con cui negli anni ha costruito una fitta rete di rapporti in Europa e nel mondo. Le incognite riguardano le politiche fiscali, con i timori che Draghi favorisca la grande economia e non i singoli cittadini, e il suo atteggiamento nella gestione della pandemia, su cui finora non si è mai espresso.
In ogni caso, vista l’incapacità della politica italiana di uscire dalla palude, e di gestire la situazione, la scelta del Capo dello Stato è andata sull’italiano che al momento ha la maggior esperienza e autorevolezza internazionale.
Quella di Mario Draghi è una carriera senza ombre: laureato alla Sapienza e con un master al Mit di Boston, si cominciò a parlare di lui quando l’allora ministro dell’economia e poi premier Carlo Azeglio Ciampi lo chiamò a dirigere il Tesoro, gestendo anche le privatizzazioni. Dopo l’esperienza a Goldman Sachs arrivò la nomina a governatore della Banca d'Italia, che lo portò anche alla Bce, prima come membro del Consiglio, e poi, nel 2011 come presidente fino al 2019. Affrontò la crisi dell’euro con il Quantitative Easing, l’acquisto sistematico di titoli di Stato da parte della Bce, che continua anche oggi, per sostenere l’economia dei paesi europei, con una determinazione riassunta dalla frase diventata un simbolo: “Whatever it takes”, fare “tutto ciò che è necessario” per salvare l’Euro e l’Europa. Nel 2018, secondo la rivista Forbes, Draghi era il 18 esimo uomo più potente del mondo.
A Francoforte dovette far fronte alla possibilità di contagi delle grandi economie nella crisi finanziaria, in particolare nel 2012, scontrandosi anche con i paesi che chiedevano un maggior rigore finanziario come la Germania, ma ora le cose sembrano più livellate da questo punto di vista: il Covid ha colpito tutti indiscriminatamente, e la fase delle trattative è già superata, redendo il peso di Draghi in Europa una carta in più per Roma.
Sulla caratura del personaggio non si discute, ma Draghi rappresenta anche l’ultima spiaggia per evitare le elezioni in un paese in preda alla pandemia e a una delle crisi economiche più difficili del dopoguerra, e che non si può permettere indecisioni o ritardi: la sensazione era che anche il fiume di denaro che avrebbe raggiunto la penisola, in prestito per la maggior parte anche se a tassi molto agevolati, stesse per essere sprecato, gettando al vento un’occasione che il paese non può permettersi il perdere. Draghi, lo scorso dicembre aveva a sottolineato come la sostenibilità del debito pubblico, che in Italia schizzerà alle stelle, sarà valutata proprio in base alla crescita e “anche a come verranno spese le risorse di Next Generation Eu: se saranno sprecate, - aveva detto - il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita”.
Il suo arrivo, sempre che riesca ad avere una maggioranza, non avrà però solo un impatto sulla finanza e sul futuro economico del paese, ma anche sulla politica. I precedenti non lasciano moto spazio all’interpretazione: nel 1993 la nomina di Carlo Azeglio Ciampi, anche lui ex governatore della Banca d’Italia, coincise con la fine di bipolarismo, già bollito, fra democristiani ed ex comunisti, nel secondo caso l’arrivo di Monti nel 2011, anche lui con esperienza europea, diede la spinta finale al dualismo fra Pdl e Ulivo, e tutto lascia pensare che anche l’attuale assetto si dissolverà nel confronto impietoso fra i due precedenti governi politici e quello che si prospetta a guida Draghi.
C’è poi un altro precedente che potrebbe innescarsi fra un anno. Carlo Azeglio Ciampi, dopo la chiamata a palazzo Chigi, diventò anche uno dei Presidenti della Repubblica più amati e rispettati, e il nome di Draghi è proprio uno di quelli più evocati in vista della fine del settennato di Sergio Mattarella.
Alessandro Martegani