Ursula von der Leyen. Foto: Reuters
Ursula von der Leyen. Foto: Reuters

Appena poche ore dopo la decisione del Bundestag tedesco di avviare il proprio 'riarmo', stanziando cifre di molto superiori a quelle citate nei giorni scorsi da Ursula von der Leyen per l'intera Ue, la Commissione europea e il Servizio di Azione Esterna hanno finalmente reso pubblico il loro Libro Bianco per quella che hanno chiamato 'Defence Readiness 2030'. In sostanza, l'Ue vuole un'industria della difesa continentale più autonoma, per essere "pronta" a far fronte alle nuove sfide alla sua sicurezza e per colmare le carenze degli arsenali europei in vista del progressivo disimpegno degli Usa dalla Nato.
La data del 2030 serve a rimarcare l'obiettivo di avere una difesa comune europea entro cinque anni, ma si basa su misure volontarie che partono dal presupposto secondo cui tutti e 27 i membri dell'Ue sono d'accordo. Pur utilizzando il Fondo InvestEu, gli investimenti sulla difesa comune saranno nazionali e quindi incideranno sul debito dei singoli stati. La posizione si diversifica sulla base di quello che una volta si sarebbe definito il "pericolo rosso", che oggi si è trasformato in "pericolo russo".
I paesi confinanti con la Federazione russa sono più propensi ad aumentare le spese per la difesa, a differenza di altri meno esposti, come ad esempio la Slovenia. Secondo un sondaggio dell'istituto demoscopico Mediana per il canale Pop TV, la maggior parte degli sloveni non sostiene ulteriori armamenti, con una percentuale fra contrari e indecisi che supera abbondantemente il 60%.
La questione del debito per la difesa, tra l'altro, non è essenzialmente legata al piano di difesa europeo. In ballo c'è anche la Nato, con le pressioni degli Stati Uniti che hanno chiesto ai Paesi europei di arrivare a un aumento della percentuale di Pil legato alla difesa che dovrebbe essere intorno al 3,5%. Netta la contrarietà degli sloveni a questa opzione, con il 67,7% degli intervistati sia restìo all'idea di un aumento accelerato della spesa militare, nonostante la maggioranza degli intervistati (58,6%) si sia dichiarata favorevole alla permanenza della Slovenia nella NATO.
Per l'esecutivo Golob la strada segnata in settimana a Brdo, con la consultazione pubblica sulla capacità di resistenza della Slovenia alle sfide contemporanee, è solo il primo passo per la creazione di un consenso non così diffuso nella cittadinanza.

Valerio Fabbri