Il 10 agosto 1919 sulla casa natale di Nazario Sauro a Capodistria venne affissa una targa che ricordava il patriota italiano. Esattamente tre anni prima Sauro venne impiccato a Pola dagli austriaci per alto tradimento. Lui, cittadino dell’Impero, scelse di vestire la divisa del Regno d’Italia, coprendosi di gloria per le sue incursioni contro la flotta nemica. Un uomo, per dirla con le parole del partigiano e antifascista triestino Bruno Pincherle, “caduto non soltanto per la libertà della sua gente, ma di tutte le nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria”.
Il fascismo, suo malgrado, ne fece una delle sue icone e quella targa, così come la memoria di Sauro a Capodistria, venne cancellata dalla rivoluzione nazional-comunista jugoslava che travolse la città dopo la Seconda guerra mondiale. Come avviene dagli anni Cinquanta in qua ancora una volta il 10 agosto a Capodistria sarà caratterizzato da un silenzio assordante. Non lo ricorderà nemmeno la comunità italiana, che preferisce dimenticare quell’ingombrante figura. Se ne parlò anni fa, quando suo nipote venne in visita per presentare un libro dedicato al nonno. All’epoca i proprietari dell’abitazione fecero capire che non avrebbero avuto nulla in contrario alla collocazione di una nuova tabella sulla casa, ma poi nessuno si mosse. Avrebbero potuto farlo le istituzioni della Comunità nazionale italiana, ma anche singoli cittadini, chiedendo i necessari permessi per affiggere una targa su un edificio storico e mettendo mano al portafoglio per raccogliere le poche centinaia di euro che sarebbe costata la lapide. Evidentemente non era una delle priorità.
A Capodistria non si ricorda Sauro, ma non si rammenta nemmeno l’armo della Libertas che vinse l’argento alle Olimpiadi del 1932 o lo scrittore Pier Antonio Qurantotti Gambini, la cui tomba al cimitero, sino a pochi mesi, fa versava del più triste degrado. Una simile sorte è riservata anche ad altre grandi e piccole figure della storia locale sepolte a San Canziano. Sono storie di cui la comunità italiana sembrerebbe poter fare volentieri a meno.
Oramai del resto nessuno sembra prodigarsi più di tanto tanto nemmeno per far rimettere nella principale piazza cittadina l’odonimo storico di Piazza del Duomo. Quando la tabella comparve, sotto quella ufficiale, scatenò a la solita ridda di polemiche. Ci fu chi parlò di una bella e buona provocazione fascista, tanto che quella targa venne “trafugata” dai soliti ignoti. Ricollocarla adesso pare sin troppo complicato. Il vecchio sindaco non lo aveva fatto fare e quello nuovo non lo ha ancora fatto. Lo si farà. Forse. Ma non c’è fretta.
La storia e i grandi nomi del passato sono ingombranti per gli italiani rimasti sulle sponde dell’Adriatico orientale. Lo è Nazario Sauro e lo è ancora di più Gabriele d’Annunzio. A Fiume la comunità italiana sembra fare di tutto per non accorgersi che il 12 settembre ricorrerà il centesimo anniversario dell’entrata del poeta e dei suoi legionari in città. Lì, del resto, la comunità italiana riesce anche ad ignorare l’esistenza dell’autonomista Riccardo Zanella, a cui l’amministrazione cittadina ha recentemente dedicato una piazza ed evita di ricordare Antonio Grossich, il medico inventore della tintura di jodio, ma anche sindaco e fervente assertore dell’annessione della città all’Italia dopo la Prima guerra mondiale.
Sono storie, queste, che non potevano appartenere agli italiani che scelsero Tito e soprattutto ai cani da guardia messi dal partito comunista jugoslavo a dirigere le loro organizzazioni. La storia qui non poteva che iniziare nel maggio del 1945 e ancor oggi guardare più indietro sembra sin troppo faticoso. Meglio dedicarsi alle tante attività artistico - culturali fatte gruppi in costume, balli e canti che riducono una storica presenza in una simpatica espressione folcloristica del territorio.
Stefano Lusa