La Foiba di Basovizza (Foto: Martegani)
La Foiba di Basovizza (Foto: Martegani)

Ogni anno si moltiplicano le iniziative per favorire l’approfondimento della storia del confine orientale e per spingere, soprattutto le giovani generazioni, a riflettere sulle tragedie del dopoguerra, e ogni anno le provocazioni cercano di riportare il dibattito a uno scontro fra fazioni.
È successo anche quest’anno quando, a 21 anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, una mano ignota, la solita probabilmente, ha pensato bene di tracciare con la vernice rossa delle scritte provocatorie di fronte al monumento nazionale della Foiba di Basovizza, a 48 ore dal giorno che commemora le vittime delle foibe e dell’esodo, e a poche ore dall’inaugurazione della Capitale europea della cultura, che celebra anche la convivenza e il dialogo fra due città divise da un confine, e fra Italia e Slovenia.

Foto: Martegani
Foto: Martegani

L’effetto voluto era quello di catalizzare l’attenzione non sulla necessità di elaborare il passato per superare i rancori e guardare al futuro nella consapevolezza dei reciproci errori commessi (la direzione indicata dai presidenti Pahor e Mattarella), ma sulle provocazioni, che hanno nuovamente riportato lo scontro indietro di decenni. Se, come ha detto il ministro italiano dei beni culturali, Alessandro Giuli, effettuando un sopralluogo alla Foiba “questi episodi sono passi verso il basso, verso l'abisso, e chi li fa precipita in un abisso di abiezione e deve scomparire dal discorso pubblico”, la politica italiana non ha fatto proprio nulla per evitare di dare risonanza al caso.

La mano di vernice bianca che ha coperto le scritte poche ore dopo non ha fermato le polemiche: tutti gli interventi alla Foiba di Basovizza si sono concentrati sulla provocazione. Il dibattito sulla storia del confine orientale non riesce a uscire dallo scontro fra fazioni, e la politica cede, fin troppo facilmente, alla tentazione di attaccare la parte opposta, sottolineando, a seconda del caso, gli orrori del nazifascismo o gli eccidi del regime comunista, dando regolarmente il via a uno scambio di accuse e recriminazioni urlate e sterili, da entrambe le parti, a volte basate su ricostruzioni sommarie se non su veri e propri falsi storici, in cui le poche voci che cercano di riportare il confronto sui binari dell’equilibrio e della critica soccombono sistematicamente.

Il Sindaco Roberto Dipiazza copre la scritta alla foiba (Foto: Martegani)
Il Sindaco Roberto Dipiazza copre la scritta alla foiba (Foto: Martegani)

Quello che nessuno si chiede, perlomeno pubblicamente, è però se ha senso, a 80 anni da quegli eventi, alimentare ancora la tensione, affrontare questi argomenti, che richiederebbero una trattazione quanto più possibile equilibrata vista la delicatezza del tema, con un’acrimonia che spesso non ha giustificazioni logiche: vogliamo veramente che a quelle giovani generazioni a cui i politici e gli storici spesso si rivolgono, venga trasmesso il rancore anziché la consapevolezza di quello che è stato, analizzando la storia con rigore scientifico per poter guardare al futuro avendo fatto i conti con il passato?
La sensazione è che la storia dolorosa e tragica del confine orientale, dal regime fascista, all’occupazione nazista fino agli orrori degli eccidi comunisti delle foibe, venga ancora usata dalla politica, più o meno consapevolmente e in modo più o meno spregiudicato, per gestire il proprio consenso, o per alimentare uno scontro ideologico che per qualcuno (una minoranza, che però riesce a condizionare il dibattito), è diventato una sorta di stile o ragione di vita.
Il rischio, oltre all’incapacità di utilizzare la storia per costruire un futuro migliore, è però quello di ottenere l’effetto contrario: allontanare dalla comprensione della storia del confine orientale e del secolo breve proprio quei giovani a cui tutti affermano di voler guardare, ragazzi che sembrano sempre meno interessati a recriminare sul passato, che guardano ben oltre ai confini locali, che hanno superato le barriere linguistiche e il campanilismo, e che sembrano sempre meno disposti a farsi coinvolgere in uno scontro da stadio, di cui non capiscono lo scopo e nel quale, perlomeno si spera, non vogliono farsi coinvolgere.

Alessandro Martegani