Maggio viene ardito e bello, con un garofano all'occhiello, con tante bandiere nel cielo d'oro, per la festa del lavoro”, si recitava una volta a scuola parafrasando i versi del grande Gianni Rodari. Oggi i garofani – specie quelli rossi- non vanno più di moda, poche sono le bandiere e mancano soprattutto il lavoro e i lavoratori. Specie quelli con la voglia di manifestare e scendere in piazza per affermare – quando ci sono- i propri diritti e per solidarizzare con chi invece non gli ha. Anche in questa giornata festiva - rimasta in calendario nell’ area dell’ex Jugoslavia nonostante la cancellazione di ogni possibile riferimento al socialcomunismo e alla fratellanza e unità - sono rari i raduni e gli eventi che celebrano una ricorrenza svuotata ormai dei suoi valori e del suo significato. E anche quando ci sono, il blando intervento di qualche sindacalista o di un sindaco è meno apprezzato della tradizionale fagiolata che viene offerta. Rilevati per due soldi, i grandi impianti produttivi non esistono più distrutti da una privatizzazione prepotente e familistica che ha privatizzato anche gli operai. Li ha disuniti, frammentati ma forse ancora di più confusi e disorientati. Tanto da non comprendere più quanto lo slogan delle 8 ore di lavoro, 8 di svago e 8 di riposo - coniato dalla grande manifestazione operaia del1886 di Chicago e repressa nel sangue – sia ancora attuale e quanto siano presenti precariato, incertezza e sottovalutazione. Condizioni demandate forse agli immigrati, pronti ad accettare i lavori più umili e malpagati ma che portano avanti - sempre di più - settori importanti quali turismo, edilizia, smaltimento dei rifiuti. Per la classe operaia “autoctona” che in questa giornata si è riversata al mare, in montagna o all’estero, l’invito a ricordare, tra un boccone e l’altro, che “ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni”, come scritto dal 1948 nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Forse ci aiuterà a dare un senso al Primo Maggio. Se non a quello odierno magari a uno del prossimo futuro.
Lionella Pausin Acquavita