Nella notte tra l’11 e il 12 settembre del 1919 un gruppo di uomini al comando di Gabriele D’Annunzio, partì da Ronchi per occupare la città di Fiume, di cui l’Italia aveva chiesto senza successo l’annessione nelle trattative di pace di Parigi. In agosto i battaglioni di granatieri italiani che presidiavano Fiume erano stati ritirati al di qua della linea d’armistizio, a Ronchi, piccolo centro del Friuli Venezia Giulia. In questi battaglioni D’Annunzio trovò i primi aderenti per un colpo di mano su Fiume. L’impresa fu organizzata segretamente insieme al capo della legione fiumana Host Venturi e al maggiore Reina, comandante di un reggimento di granatieri.
D’Annunzio riuscì a entrare in città, senza colpo ferire, accolto da parte della popolazione locale. L’occupazione durò oltre un anno finché, con il Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), la città fu costituita in Stato libero e indipendente e i legionari furono costretti a sgombrarla dopo l’intervento delle truppe regolari (dicembre 1920).
Ricorrono cento anni da questo avvenimento e in questa giornata sono previste una serie di manifestazioni a Fiume ma anche in Italia. Qui la commemorazione principale si tiene proprio a Ronchi da dove partirono D’Annunzio ed i suoi legionari, ma anche Trieste ha omaggiato il poeta con una statua e ricordato l’impresa con una mostra ed una serie di incontri. Ciò ha scatenato polemiche da una e dall’altra parte, poiché l’impresa viene considerata da molti antesignana del fascismo. Questa interpretazione viene messa in discussione dallo storico Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione del Vittoriale degli italiani, casa-museo di D’Annunzio a Gardone Riviera, dove per il centenario è stato organizzato un convegno internazionale che ha raccolto i principali esperti di questa pagina della storia. Un lavoro che Guerri, però, sta portando avanti non solo a livello accademico ma anche divulgativo.
“In realtà si tratta di un lavoro che è stato fatto da molti storici prima di me”, ci spiega Guerri tra i giardini della villa di Gardone dove il poeta passò gli ultimi anni di vita trasformandola in una vera e propria opera d’arte, “Valeri, De Felice, Perfetti e Salaris hanno rilevato che l’impresa di Fiume è stata una cosa diversa da quella che si credeva comunemente. Adesso si tratta di far arrivare quell’idea a tutti e quindi diffondere la bella notizia che non si trattò di un’impresa fascista, anzi fu un’impresa anticipatrice di molti fenomeni del Novecento, libertari, democratici ed addirittura quasi sessantottini in certi punti”.
Una impresa “dadaista” è questo lo spunto, tratto da una rivista tedesca dell’epoca, dal quale è partita la storica dell’arte Claudia Salaris per sviluppare quella che è tra le interpretazioni più popolari dell’esperienza dannunziana a Fiume come “la festa della rivoluzione”. Una definizione che alcuni considerano troppo sbilanciata a favore del Vate e dei suoi uomini.
“Questa è stata la mia lettura”, dice la Professoressa Salaris, “Io sono una studiosa del futurismo e delle avanguardie e ho guardato a questi aspetti ludici, festaioli, rivoluzionari dandogli una lettura che, però, si ricollegava al suggerimento di Renzo De Felice secondo il quale a Fiume esistevano grosso modo due tipologie di presenze: gli scalmanati e i ragionevoli. Io ho raccontato questa storia dalla parte degli scalmanati, che d’altronde lo stesso De Felice considerava la vera anima dell’impresa fiumana”.
Scalmanati e ragionevoli diedero vita ad un esperimento unico, nel bene e nel male, che vede il suo compimento nella “Carta del Carnaro”, una costituzione modernissima alla base della Reggenza del Carnaro, la nuova città stato istituita da D’Annunzio a Fiume, come ci ha spiegato la storica Ester Capuzzo:
“La carta del Carnaro è un testo che, nonostante non sia mai stato in realtà attuato, fu estremamente moderno per tutta una serie di contenuti. Non solo per il tema delle autonomie che era stato largamente dibattuto in Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento, ma anche per alcuni elementi caratteristici. In primo luogo, il tema dei diritti, che la differenziava molto ad esempio dallo statuto albertino, in particolar modo per quanto riguarda i diritti delle donne. La carta del Carnaro, infatti, sanciva la piena e totale uguaglianza con gli uomini. Bisogna tenere conto che mentre in Italia nel 1919 era stata appena abolita l’autorizzazione maritale e le donne erano state parzialmente ammesse agli impieghi pubblici, a Fiume le donne secondo la Carta del Carnaro erano addirittura ammesse al servizio militare; cosa che le donne italiane conquisteranno solo a fine Novecento. E poi c’era il sistema del lavoro attraverso le corporazioni che rese la carta un testo costituzionale moderno ed avanzato”.
Autori della Carta furono Gabriele D’Annunzio, ma soprattutto il Alceste De Ambris che portò a Fiume la sua esperienza di sindacalista rivoluzionario.
“Alceste De Ambris è una figura straordinaria per quegli anni”, ci racconta il suo biografo Enrico Serventi Longhi, “Lui fu il capo del più grande sciopero agrario della storia d’ Italia nel 1908, un uomo di sinistra, interventista nella prima guerra mondiale e successivamente affascinato dal variegato mondo di combattenti e nazionalisti che vide in Fiume un laboratorio dove poter portare le proprie idee rivoluzionarie e sindacali”.
De Ambris, però, non accorse subito a seguito di D’Annunzio, ma arrivò tra novembre e dicembre quando l’impresa si stava già trasformando in qualcosa di differente dalle origini, quando si trattava soprattutto di una critica alla diplomazia italiana.
“Quando De Ambris arriva a Fiume”, continua Serventi Longhi, “La città era diventata il simbolo di una critica sistemica allo stato liberale, e lui tradusse questa polemica in un progetto articolato che ebbe come culmine la carta del Carnaro, che fu scritta da lui con la revisione lirica di D’Annunzio. De Ambris portò un’anima sociale e corporativa all’interno dell’universo di Fiume, dove ebbe anche la sua prima esperienza politica, come capo del gabinetto. Portò avanti una politica controversa antislava, ma anche portatrice di proposte innovative nel panorama delle istituzioni europee”.
De Ambris inoltre è noto perché fu uno dei legionari che diventò antifascista. “Si espose contro il Regime ed andò in Francia esule, dove morì a Parigi”, conclude il suo biografo, “Lui contese al fascismo la memoria di Fiume e del fiumanesimo e ruppe anche con D’Annunzio, a causa del suo ritiro dalla politica. De Ambris riteneva, infatti, che il poeta avrebbe dovuto prendersi le sue responsabilità impegnandosi nella lotta antifascista. Cosa che D’Annunzio non volle fare. È falso, quindi, dire che Fiume è stata un’esperienza di protofascismo, ma non è neanche vero dire che non c’entra nulla con il fascismo, che, invece, riprese molto del fiumanesimo”.
Non tutti però festeggiarono l’avvento di D’Annunzio e della reggenza a Fiume, tra questi sicuramente molti croati che vivevano in città. Lo storico Ervin Dubrović,direttore del museo civico di Fiume, ha scoperto l’esistenza di un gruppo armato denominato “Il gabbiano”, che aveva intenzione di destituire la reggenza del Carnaro:
“Ho trovato un libricino di cinquanta pagine pubblicato nel 1952 da Milan Marjanović, uno dei politici croati del primo dopo guerra che faceva parte del comitato jugoslavo a Londra, che organizzò con altri uomini di mezza età della un gruppo armato, che con l'appoggio finanziario di banchieri croati comprarono le armi necessarie per fare un colpo di stato contro D'Annunzio. L'azione, però, non venne mai compiuta perchè venne firmato prima il trattato di Rapallo e così saltò tutto“.
A Fiume, però, ad essere divisa era anche la popolazione di lingua italiana tra i quali c’era una forte fronda autonomista e non solo quella irredentista, come ci ha raccontato lo storico fiumano Giovanni Stelli.
“Mio nonno materno era deputato all’assemblea nazionale costituente autonomista e quindi zanelliano, mentre mio nonno paterno era repubblicano e quindi filo dannunziano ed irredentista. Quale era, quindi, l’atteggiamento dei fiumani? Nell’aprile del 21 dopo il trattato di Rapallo si fecero le elezioni e chi prese la maggioranza? Gli autonomisti di Zanella. Ciò significa che in un primo momento D’Annunzio venne accolto in città entusiasticamente perché sembrava essere la garanzia di quello che i fiumani aveva già deliberato, ossia l’annessione al regno di Italia. A mano a mano che passa il tempo il consenso inizia ad inclinare e quando Giolitti sta preparato il trattato di Rapallo, De Ambris gli disse che i fiumani erano d’accordo con lui e non erano più disposti a seguire D’Annunzio. Poi comincia la storia dello stato libero, ma questa è tutto un altro discorso".
Comunque la si guardi l’impresa di Fiume resta pagina della storia croata che “non piace” dice Dubrović. Questo “centenario non è stato accolto con grande simpatia in città”, ammette lo storico, “Io invece penso che siamo tutti nella stessa Europa, e quindi dobbiamo cercare di parlare, anche se non troveremo mai la stessa verità, perché la storia ha tante verità ma almeno confrontarci”.
Una delle accuse mossa dagli storici croati a quelli italiani di tentare di ofuscare gli aspetti che legano Fiume al fascismo, parlando di "festa della rivoluzione". “Difficile dire se si trattò di fascismo”, dice la slavista Natka Badurina, “anche se nella carta del Carnaro mentre De Ambris postula lo stato di Fiume su base volontaristica, D’Annunzio lo pone sulle basi di sangue e razza, quindi eredità latina e romana e se non è fascismo quello?”.
Una storia che comunque deve essere recuperata, liberandola da interpretazioni di parte e con una visione transnazionale come si augura la Badurina: "Bisogna cominciare a parlare di questi avvenimenti e sfruttare questo centenario per instaurare un dialogo storiografico, che superi un'interpretazione nazionalista della storia. La cosa importante è che gli studiosi inizino ad imparare le lingue gli uni degli altri, in modo da potersi approcciare ai documenti di tutti per creare così un'immagine completa, scevra di idealizzazioni o forzature da una o dall'altra parte".
D’altronde “quando pensiamo a Fiume pensiamo all’entrata ed all’uscita di D’Annunzio” ricorda la storica americana Dominique Reill, “ma non si tiene conto che c’è un prima ed anche un dopo,che tutto questo ha un’influenza sulla storia dell’alto adriatico e che la città ha continuato a sopravvivere con le sue strutture e con la sua gente al di là di tutto”.
Barbara Costamagna