Modificare il farraginoso sistema di voto dei rappresentanti delle comunità nazionali autoctone era stato un proposito ventilato da tutti e tre i candidati minoritari alle scorse elezioni politiche. Quella slovena è una modalità di voto particolare, che non impone di scegliere un candidato unico, ma di metterli in ordine di preferenza. Qualche volta gli elettori hanno seguito le istruzioni, altre si sono limitati a votare il candidato preferito. In quasi trent’anni i cittadini non si sono ancora abituati a fare la classifica e non si è ancora capito esattamente come le schede debbano essere scrutinate, tanto che è persino accaduto che dalle nostre parti i punti venissero assegnati in un modo e nell’Oltremura in un altro. Tanto che l’intricata matassa del conteggio, alle scorse politiche, è stata dipanata solo a pochi giorni dal voto.
All’epoca il legislatore, con il favore delle comunità nazionali, adottò il Borda per evitare che il rappresentante delle due minoranze nazionali venisse eletto senza ottenere la maggioranza dei voti. L’alternativa, infatti, era il maggioritario secco. Con più candidati in lizza avrebbe vinto quello che si sarebbe aggiudicato un solo voto più rispetto agli altri. Accade alle politiche in Gran Bretagna e succede in Italia per scegliere i presidenti di Regione. Nessuno si lamenta, protesta o specula sulla legittimità del voto e del candidato prescelto.
Ora si tratta di ripensare a quella decisione di tanti anni fa. Di riforma del sistema elettorale si discute da mesi in Parlamento, non tanto per volontà dei deputati stessi, ma per imposizione della Corte costituzionale. Se quello sloveno resterà un sistema elettorale proporzionale, l’unica alternativa per liberarsi dal Borda sarà quello di introdurre il maggioritario secco.
A dire il vero non mancano coloro che speculano sull’opportunità di adottare il doppio turno, in cui se nessuno dei candidati superasse il 50% dei voti, i due con le maggiori preferenze si contenderebbero il seggio al secondo turno, come avviene per i sindaci. Un sistema che piace agli oppositori dell’attuale establishment minoritaria in Slovenia ed anche a quella fetta di italiani che gravita intorno alla Sinistra. L’inconfessata idea sembra essere che con simili modalità sarebbe più semplice prendere d’assalto alle prossime politiche il seggio di Felice Žiža.
Sta di fatto che la minoranza italiana non è chiamata da sola a scegliersi le modalità di voto per il suo deputato. C’è da tener conto di cosa pensano gli ungheresi e soprattutto delle modalità e dei tempi con cui vengono eletti gli altri deputati in Slovenia. Se la riforma del sistema elettorale dovesse andare laddove auspicano i democratici di Janez Janša, che da tempo caldeggiano il maggioritario a doppio turno o almeno un sistema combinato, non ci dovrebbe essere nessun problema adottare il doppio turno anche per i deputati della minoranza. Siccome, però, il sistema elettorale rimarrà proporzionale questa strada sembra preclusa.
Il doppio turno significherebbe riaprire in molte zone del paese i seggi per pochissimi elettori (visto che le comunità nazionali autoctone votano nei loro seggi di residenza, anche fuori dal territorio bilingue) e rimandare di almeno due settimane la costituzione del parlamento. Questo, però, sarebbe il problema minore. In questi anni non sono mancati risultati risicati con maggioranze equamente spaccate tra centrodestra e centrosinistra, con i parlamentari minoritari a fare da ago della bilancia. Possiamo solo immaginare, in questo caso, il clima delle due settimane di campagna elettorale e quanto l’attenzione di tutta la Slovenia sarebbe concentrata su questo voto. Sicuramente sarebbe il miglior modo per mettere in discussione sia il doppio voto degli appartenenti alle comunità nazionali autoctone, sia il ruolo dei deputati minoritari in parlamento.
Stefano Lusa