Devana Jovan, una delle più profonde conoscitrici dei rapporti italo-sloveni, ieri in una nostra trasmissione si è chiesta se quelli che verranno dopo Borut Pahor e Sergio Mattarella saranno in grado di raccogliere l’eredità che i due capi di Stato ci stanno lasciando. I due presidenti sono riusciti a superare quelle “Spine di confine”, per dirla con il titolo di un fortunato libro di Mauro Manzin, che sin dagli anni Novanta avevano avvelenato le relazioni tra i due paesi.
L’Italia è stata a lungo il nemico numero 1 della Slovenia, quella che aveva posto, a causa del patrimonio immobiliare degli esuli e del peso della storia, notevoli ostacoli all’integrazione europea di Lubiana. Sulla questione i giornali sloveni versarono fiumi di inchiostro, mentre l’Italia era considerata un vicino scomodo, potenzialmente pericoloso e di cui non ci si poteva fidare. Gli strascichi di quella vicenda si ripercuotono ancor oggi, tanto che in Slovenia il modello a cui guardare è l’Austria, la Germania e di recente anche l’Ungheria, ma mai l’Italia.
Forse proprio per questo la visita dei due presidenti nelle due Gorizie, sui giornali sloveni, è passata quasi inosservata. Questa volta non c’erano da raccontare vere o presunte minacce e ricatti italiani. È probabilmente la prima volta, nelle relazioni tra i due paesi, che i media italiani dedicano più attenzione ad un incontro bilaterale, che quelli sloveni.
Quello che è certo però è che Borut e Sergio, in poco più di un anno, sono riusciti a porre una pietra sopra il passato e ora a dare una prospettiva per il futuro. I due presidenti non hanno certo fatto sparire le sacche di fomentatori d’odio dall’una e dall’altra parte del confine, ma le hanno relegate ai margini, facendole diventare un fenomeno folckloristico. Qui a dargli una mano ci hanno pensato anche Klemen e Rodolfo. Il sindaco di Nova Gorica Klemen Miklavič e quello di Gorizia, Rodolfo Ziberna hanno capito che l’unico modo per far uscire le loro due città dalle rispettive periferie era quello di trovare una nuova centralità costruendo una area integrata. Ci stanno lavorando alacremente da anni, partendo da esperienze politiche e culturali diverse. Destra e sinistra, insieme, per ridare prospettive a due zone che senza un progetto comune rischiavano di diventare insignificanti. Non ci lavorano solo loro, ma il progetto sembra essere ampiamente condiviso dai loro cittadini.
Non ci voleva molto per capire che Nova Gorica e Gorizia, insieme capitale europea della cultura, avrebbero rilanciato il dialogo tra Roma e Lubaina e che a beneficiarne sarebbero state prima di tutto le minoranze, che hanno bisogno di rapporti distesi e di collaborazione per poter sopravvivere. La minoranza italiana, nella corsa all’assegnazione del titolo, ha appoggiato convintamente Pirano.
Stefano Lusa