Una piccola paciosa città tedesca dedita al commercio cambia volto. I suoi abitanti, dal 1930 al 1935, in cinque anni, si trasformarono in convinti sostenitori del Raich: la crisi economica, i litigi tra le forze politiche tradizionali e l’incapacità di quest’ultime di trovare adeguate soluzioni convinsero la popolazione a cercare riparo nell’unico movimento che prometteva sicurezza e che sembrava avere un programma rivoluzionario. Nulla (o quasi) di tragico accade immediatamente in una città in cui, di giorno in giorno, cresceva il consenso per i nazisti. Elettori e attivisti socialdemocratici, liberali e conservatori guardarono sempre con maggiore simpatia al Führer. Con l’aumento dei consensi i facinorosi sostenitori di Hitler, che avevano caratterizzato la prima fase dell’avvento del partito, vennero lentamente allontanati o espulsi ed al loro posto arrivarono quelle che potremmo tranquillamente definire persone per bene.
Un libro, quello di Allen, scritto negli anni Sessanta, che ricostruisce la vita di un borgo sufficientemente grande da potere essere in qualche modo rappresentativo, ma abbastanza piccolo da consentire di seguire il percorso politico di tutti i suoi 10.000 abitanti.
A Nordheim nessuno (o quasi) restò immune al fascino del nuovo che avanzava. Luciano Gallino, nella prefazione del volume scrisse: «La distruzione di una comunità politica, la fine della democrazia è sempre possibile - e oggi come allora gli avversari della democrazia stanno anche dentro di noi, nel perenne conflitto, ch'è a un tempo sociale e psichico, tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà».
Quello che il libro ci insegna è che non si diventa nazisti di colpo. Non si dimenticano i valori democratici dall’oggi al domani, ma si può farlo relativamente in fretta assecondando le proprie paure o seguendo l’onda che ad un certo punto diventa troppo impetuosa per lasciarti scendere.
La storia di Nordheim non è necessariamente quella di tutta la Germania, ma ci spiega in maniera eloquente come mai tante brave persone aderirono ad un regime che è ancor oggi considerato il male assoluto.
Inutile tirare paralleli con il passato, ma sta di fatto che in Europa e nel mondo, oggi la democrazia liberale è di nuovo in crisi. Con le paure per l’afflusso dei migranti, con la crisi economica, con un futuro sempre più incerto e soprattutto senza la promessa che la vita dei nostri figli sarà migliore della nostra, le vecchie e nuove xenofobie oramai stanno sfociando in nuovi razzismi: la voglia di libertà diminuisce, mentre aumenta il bisogno di sicurezza. Lo spavaldo uso dei social networks che stanno facendo oggi i politici sta spostando il limite del consentito. Ogni tweet allarga amplia il confine del lecito ed oramai considerazioni da osteria sono entrate a far parte a pieno titolo del lessico politico. Il politicamente corretto è stato definitivamente rottamato, mentre le fake news hanno oramai lo stesso peso di quelle pubblicate dalle testate più importanti.
Diritti, libertà individuali e divisione dei poteri sembrano essere nel comune sentire valori sempre meno importanti perché tutto sarebbe in mano da una fantomatica plutocrazia che controlla grazie ai soldi governi e i mass-media. E’ il tempo della ricerca di nuovi sovranismi, del ritiro nei propri microcosmi e di una sempre più marcata invidia sociale. Nuovi uomini forti vengono invocati. Il presidente russo Vladimir Putin sta diventando un modello oramai per molti. I benefici dell’ordine di cui oggi godrebbe il suo paese, sarebbero superiori agli svantaggi del suo fare autoritario. L’ordinata Budapest, priva di immigrati, viene contrapposta sui social a quella dei militari che, armati fino ai denti, presidiano le principali attrazioni di Parigi. Modelli alternativi vengono invocati, si vorrebbero nuove forme di democrazia: da quella illiberale di Orban a quella telematica di Casaleggio.
Così, mentre una classe politica senza idee ed ideali, incapace di trovare risposte concrete, viene presentata all’opinione pubblica, da una fetta consistente dei mass media e sui social networks, come una pletora di parassiti corrotti e di approfittatori, valori, che fino a ieri venivano considerati sacrosanti, oggi sono messi sempre più in discussione.
Stiamo percorrendo una nuova strada che non deve necessariamente portare a soluzioni come quelli degli anni Venti in Italia o degli anni Trenta in Germania, ma che comunque ci sta conducendo in territori inesplorati e forse ci porterà a sistemi “diversamente democratici”, dove magari l’idea del bilanciamento dei poteri, della tutela delle minoranze e delle libertà individuali verrà sostituita da quella della dittatura della maggioranza. Prima di percorrere altre strade, prima di rottamare il concetto di democrazia liberale e di democrazia rappresentativa bisognerebbe comunque tenere in considerazione uno degli aforismi di Winston Churchill, uno dei protagonisti della seconda guerra mondiale e della politica britannica che diceva che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezione fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate fin ora”.