Una donna bianchissima con solo il reggiseno e con sei mani nere addosso ed un hashtag: #hatebetter (#odiameglio). Per la Slovenia la questione dei migranti è un fenomeno relativamente recente. Nel paese, al tempo della rotta balcanica, sono passati in tanti, ma praticamente nessuno si è fermato. La Slovenia resta etnicamente pura ed in generale si fa fatica ad incontrare per le strade persone con una carnagione diversa da quella bianco pallida e quando ciò avviene molto spesso si tratta di turisti. I timori di essere alla vigilia di una catastrofica invasione però ci sono e rimangono. Si sprecano, così, gli appelli a tutelare meglio i propri confini, come non accennano a diminuire le proteste “spontanee” della popolazione ogni qual volta si accenna alla possibile apertura nei pressi delle loro cittadine di un centro di accoglienza per i profughi.
Non mancano di far discutere i diciannove manifesti hanno fatto in questi giorni la loro comparsa per le vie di Lubiana, come preludio ad un Festival della performance che inizia oggi nella capitale slovena. Quello della provocazione attraverso la cartellonistica non è una novità in Slovenia. Negli anni Ottanta il poster elaborato da Novi Kolektivizem per celebrare la Giornata della Gioventù fece trasalire tutto il paese. Gli autori, all’epoca copiarono, un cartellone nazista, sostituendo i simboli del Terzo Reich con quelli della Jugoslavia comunista. Ebbe il pregio di mettere il regime di fronte alla sua essenza totalitaria.
Il poster della Stergar non fa altro che richiamare in maniera più che eloquente una copertina del settimanale Demokracija, vicino al leader dell’opposizione Janez Janša. Un suo numero uscì con in prima pagina una ragazza bionda con la camicetta sbottonata e sei mani scure sul suo corpo e con un titolo categorico: “Con i migranti arriva in Slovenia la cultura dello stupro”. Quella foto e quel titolo fecero sollevare nel paese le proteste di una parte del panorama politico e culturale, ma tutto sommato pareva incarnare le paure di una buona fetta della popolazione. L’iniziativa vuole però anche essere una risposta alla tempesta che si era scatenata sui social lo scorso anno, quando una artista, Maja Smrekar, venne premiata con uno dei più alti riconoscimenti culturali del paese, per una fotografia in cui allattava un cane. All’epoca venne invitata ad attaccare al seno piuttosto un migrante.
La Stegnar, come esponete di quell’arte slovena politicamente impegnata, ci ha giocato sopra e l’’ha fatto in maniera sin troppo raffinata affinché tutti capissero al volo il suo messaggio. Non sono mancati, così, quelli che l’hanno letto come l’ennesimo appello a tutelare la fortezza europea dall’invasione incontrollata. E’ accaduto anche a qualcuno tra i molti turisti che nei fine settimana affollano la capitale, tanto che in qualche bacheca Facebook, accanto alla foto, sono apparsi elogi per la fermezza degli sloveni sul fronte immigrazione. Probabilmente non hanno perso troppo tempo a guardare il lavoro dell’artista per accorgersi che quelle mani non erano di persone di colore, ma erano semplicemente state dipinte di nero. Poi anche qualche locale ha pensato di comunicare al mondo la sua “tolleranza” con un lapidario graffito: “Il pianeta delle scimmie”
Ancora una volta, quindi, il manifesto diventa esso stesso una performance. L ’autrice Katarina Stegnar non si scompone e si limita a spiegare di essere lei stessa la padrona del suo piacere e di poter fare con il suo corpo quello che le pare: “Io amo il mio ragazzo sloveno, indipendente mente dal fatto che sia nero, giallo, rosso o arcobaleno”.
Stefano Lusa