Può l’Unione Italiana, con l’alto patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Fiume, con il contributo finanziario del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana organizzare e finanziare una iniziativa della Facoltà di giurisprudenza di Rijeka? Evidentemente sì. In città il giochetto non è nuovo. Del resto quella scritta in italiano “Rijeka - Capitale europea della cultura”, apparsa sugli autobus cittadini, mesi fa, era già un eloquente schiaffo a Fiume ad alla sua (oramai insignificante) comunità italiana. Il problema, ci dice Marin Corva, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana è che in città non c’è il bilinguismo e quindi Fiume dalle istituzioni viene chiamata esclusivamente con il nome croato. Una giustificazione debole e priva di senso, che cozza con le più basilari regole linguistiche, che imporrebbero l’uso del nome nella lingua in cui si scrive, quando esso è generalmente conosciuto e noto.
Certo da queste parti nomi e toponimi sono stati e sono anche simbolo di nazionalizzazione e denazionalizzazione. Proprio per questo la dicitura Rijeka sembra l’appropriato modo per ribadire che il progetto politico iniziato nel 1945 è ancora in atto. Quello che è certo è che simile fatto non sarebbe mai potuto accadere alla comunità slovena in Italia, che mai avrebbe accettato che in un testo sloveno fosse riportato il nome italiano di Trieste, Gorizia, Udine o Monfalcone. Il bilinguismo ufficiale non c’entra nulla. Conta solo il buon senso. Se Fiume per la Facolatà di Giurispridenza di Rijeka è talmente indigesto da non poter essere usato nemmeno nell’evento Facebook postato per promuovere l’evento, forse quelli spesi non sono altro che soldi buttati via.
Stefano Lusa