A seguito della richiesta di commissariamento da parte del Collegio dei Revisori dei Conti e del Consiglio Direttivo, l’Università Popolare di Trieste viene in effetti commissariata alla fine del 2018 con provvedimento del presidente della Regione FVG, del direttore generale per l’Unione Europea del Ministero degli Esteri e del prefetto di Trieste.
Fra le varie ragioni invocate per giustificare il grave provvedimento nei confronti di un’associazione privata, si cita “che il commissariamento debba essere utilizzato limitatamente alle situazioni nelle quali sia acclarata l’impossibilità di ricondurre la gestione dell’Ente alla legittimità facendo ricorso a strumenti interni dell’Ente stesso, nel rispetto del principio della libertà di associazione”.
Non è dato ad oggi di sapere quali situazioni siano state individuate tali da non poter essere gestite dall’UPT, ricorrendo invece alla gestione commissariale.
In base ai pochi dati che si conoscono, è lecito supporre che la situazione poteva essere amministrata dagli organi sociali, dal Consiglio Direttivo e dal Consiglio di Amministrazione secondo le rispettive competenze, a meno che non si voglia giungere alla conclusione che tali organi non abbiano avuto la volontà o la capacità, di prendere le opportune decisioni, preferendo lasciare il campo senza risoluzioni, senza tenere nel dovuto conto i tempestivi rilievi e le osservazioni del Collegio dei Revisori dei Conti unitamente, si suppone, alle opportune appropriate indicazioni per eliminare le irregolarità rilevate.
Il Consiglio Direttivo era composto, in tempi diversi, dai presidenti Fabrizio Somma e Cristina Benussi, dai vicepresidenti Manuele Braico e Renzo Codarin nonché dai consiglieri Francesco De Luigi, Massimiliano Rovati, Luisella Tenente. A quanto è dato di sapere, le irregolarità riguardano spese non giustificate coperte irregolarmente con fondi statali con l’esigenza quindi di ripianarne l’utilizzo. Due voci sono coinvolte e vanno prese in esame, quella relativa alle spese correnti dell’Ente e quella per corrispondere a richieste di rimborsi per coprire la realizzazione di progetti per la minoranza italiana nei Paesi dell’ex Jugoslavia.
Nel primo caso l’importo di 250.000 Euro attinto indebitamente senza autorizzazione preventiva dal fondo destinato alla realizzazione dei progetti sembra sia stato utilizzato per le spese di funzionamento dell’UPT che superavano quelle preventivate.
Nel secondo caso l’importo di 280.000 euro, prelevato irregolarmente e comunque senza preventiva autorizzazione dal fondo destinato alla realizzazione dei progetti, impiegato per far fronte alle maggiori spese rispetto a quanto preventivato per la realizzazione degli stessi.
Si tratta quindi di due criticità che gli amministratori avrebbero potuto governare: troppe spese indebite per il funzionamento dell’UPT e gestione disinvolta per venire incontro alla realizzazione dei progetti.
Non è dato di sapere come la gestione commissariale dipanerà la matassa e quali soluzioni individuerà, certamente dovrà ricorrere all’aiuto dello Stato per ricuperare i 530.000 Euro, cosa che avrebbero potuto fare pure gli amministratori commissariati.
È auspicabile che tale spinosa questione venga risolta al più presto e per il meglio affinché la storica istituzione possa riprendere la sua consueta attività.
Silvio Delbello