Stanno oramai scadendo i trenta giorni di tempo che il capo dello stato aveva, dopo la costituzione del parlamento, per proporre il nome del premier incaricato al parlamento. Il presidente Borut Pahor, in questo periodo non ha nascosto la sua intenzione di voler conferire l’incarico a Janez Janša, il carismatico presidente dei Democratici che alle scorse elezioni, con il suo partito, ha ottenuto la maggioranza relativa. Una vittoria che non dà, però la maggioranza al centrodestra, regalando al paese un parlamento frammentato tra partiti vecchi e nuovi. Per Pahor, però, non ci sono stati dubbi sul fatto che quell’incarico dovesse andare proprio al leader del partito che ha avuto la maggioranza relativa.
Janša, che in questo mese è rimasto a guardare, mentre i suoi avversari erano in cerca di raffazzonate maggioranze, ha fatto sapere di non avere i numeri per ottenere la fiducia e Pahor ha deciso che, in assenza di altre maggioranze certe, non proporrà alcun nome. Ora i ritmi si faranno più serrati, visto che senza un premier eletto il paese rischia di tornare alle urne. A questo punto al presidente della repubblica restano 15 giorni per trovare il consenso attorno ad un nome, ma questa volta la proposta potrà anche arrivare direttamente da dieci deputati. Se alla scadenza dei termini non si dovesse individuare nessuno non resterebbe che tornare al voto; anche se il parlamento potrebbe, all’ultimo, decidere di prorogare i termini di ulteriori 48 ore per scegliere, poi, un premier incaricato con la sola maggioranza semplice. Non è escluso che possa andare proprio così. In ogni modo, una volta eletto, il premier incaricato avrà altri 15 giorni di tempo per presentare la lista dei ministri e a quel punto scatteranno le audizioni dei potenziali capi dicastero di fronte alle competenti comitati alla Camera di Stato e infine si arriverà al voto di fiducia. Quello che appare certo è che i partiti faranno di tutto per evitare una nuova consultazione che nessuno sembra realmente volere.
Al momento nessuno non ha i numeri per governare. I partiti del centrosinistra hanno dato ad intendere a Janša che con lui non vogliono discutere, mentre il secondo classificato Marjan Šarec sta lavorando ad un programma di governo che dovrebbe mettere insieme un’improbabile coalizione composta da ben sei partiti. A decidere sulle sorti di questa maggioranza sarà Matej Tonin e i suoi democristiani di Nuova Slovenia. La compagine, questa settimana, dopo aver ottenuto molto, ha abbandonato la trattativa. Ufficialmente la loro speranza sarebbe quella di portare qualcuno dei partiti di centro al tavolo negoziale con Janša; ma per ora tutti negano di voler discutere con il controverso politico, che non ha mai lesinato feroci bordate nei confronti dei suoi avversari ed anche dei potenziali alleati. Per Tonin salire sul carrozzone del centrosinistra, senza dimostrare di aver fatto tutto il possibile per arrivare ad un governo di centrodestra, potrebbe trasformarsi in una vera e propria Caporetto. Per giustificare una simile mossa dovrà ottenere molto e non soltanto a livello simbolico, per evitare di fare la fine dei Popolari, che pagarono a caro prezzo l’ingresso in una alleanza di centrosinistra. Più privato nella scuola, nella sanità e meno stato nell’economia, assieme ad alcuni precetti di natura ideologica potrebbero essere una buona contropartita. Tanto che per alcuni l’abbandono di Nuova Slovenia dei negoziati con il centrosinistra sarebbe stata addirittura una mossa concordata con lo stesso Šarec e presto Tonin ed i suoi uomini potrebbero tornare da lui per discutere la spartizione delle poltrone.
Senza Nuova Slovenia solo la Sinistra potrebbe venire in soccorso a Šarec, ma a quel punto, per accontentare i socialisti radicali, il prezzo da pagare sarebbe molto alto ed il programma di governo da rifare. Non si esclude comunque che, in caso di necessità, proprio dalla sinistra possano arrivare i voti necessari per mettere in piedi la compagine guidata da Šarec, seppure solo con un appoggio esterno.
Janša, intanto, si dice fiducioso e parla già di colloqui informali con i partiti di centro, che però, per ora, negano seccamente. Del resto per molti di loro l’alleanza con Janša potrebbe significare una vera e propria disfatta con gruppi parlamentari spaccati, deputati che se ne vanno e che potrebbe risolversi in una catastrofe alle prossime elezioni. Il paese, infatti, rimane nettamente spaccato su Janša. Se per i suoi sostenitori lui rappresenta la sola salvezza per la nazione, una parte consistete dell’elettorato preferirebbe affidare la Slovenia a qualsiasi altro piuttosto che a lui.
Per molti comunque il paese avrebbe bisogno di un governo di larghe intese, possibilmente non fatto da troppi partiti, che considerata la proverbiale litigiosità delle forze politiche slovene, sarebbe sinonimo di instabilità. Tra i possibili scenari per una soluzione della crisi ci potrebbe essere anche quello più improbabile che vedrebbe Janša farsi da parte per lasciare ad un'altra figura del suo partito il compito di andare ad occupare la poltrona di primo ministro. A quel punto per i partiti di centro entrare in coalizione con i Democratici potrebbe essere molto più semplice. Difficile ipotizzare che Janša si possa accontentare di un ministero o della poltrona di presidente della Camera.