Venti di guerra soffiavano sulla Slovenia. L’esercito federale aveva preso i confini. La Difesa Territoriale era impegnata in una serie di scontri con l’Armata popolare jugoslava. Erano giorni convulsi. Bruno Orlando presidente della quarta camera (l’equivalente della Comunità autogestita comunale di oggi) arrivò alla riunione della presidenza dell’assemblea municipale in tuta mimetica, con il kalashnikov in spalla e la pistola nella fondina. A Isola, come nel resto del paese, erano impegnati a cancellare i simboli della Jugoslavia. Quando venne toccata la questione bandiere Bruno chiese, che in sintonia con quelle che erano state le decisioni della minoranza stessa, il comune esponesse la bandiera italiana e non più quella che fu della Brigata Garibaldi ovvero il tricolore con la stella rossa al centro. In un clima di crescente orgoglio nazionale la proposta non venne accolta con grande entusiasmo e, quando sembrò che il tutto dovesse naufragare, Bruno sbatté il mitragliatore sul tavolo sbottando: “Proprio mentre sto difendendo la Slovenia a Isola mi volete negare la mia bandiera”. Lui assicura che nel fucile non c’era il caricatore, gli altri non ricordano con esattezza questo particolare. In ogni modo gli argomenti di Bruno furono sufficientemente convincenti, tanto che Isola per lunghi anni fu l’unica località della costa slovena ad esporre il tricolore anche se con estrema moderazione.
Nato in una numerosa famiglia, passa l’infanzia correndo per le vie di Capodistria. Il padre è un ex militare italiano imprigionato dai tedeschi. Liberato dai partigiani sceglie di andare a combattere nel Battaglione “Pino Budicin”. La mamma è di Monte di Capodistria e durante la guerra il suo villaggio viene incendiato tre volte. Dopo la guerra il papà trova lavoro nella prima impresa di costruzioni edile della zona, mentre la mamma alla Delamaris. Bruno cresce insieme ad altri due fratelli e fin da piccolo impara che per farsi sentire deve alzare la voce. Una caratteristica questa che continua ad accompagnarlo anche oggi. La sua vita trascorre tra scuola e comunità dove si ritaglia il ruolo di “attivista” della filodrammatica e della mandolinistica. Dopo le superiori si iscrive alla Facoltà di educazione fisica a Lubiana. Prima di terminare gli studi torna a Capodistria ad insegnare ginnastica e lascia perdere l’università.
Si sposa e trasferisce ad Isola, dove nasce il primo figlio. Lì si impegna subito nella locale comunità italiana. Diventa presidente della quarta camera, poi della CAN Comunale e vicepresidente della CAN Costiera. Nel 1994, concluso il suo impegno politico attivo, diventa una sorta di segretario politico della Can isolana. Immerso nelle leggi ricomincia a studiare e si iscrive alla Facoltà di scienze amministrative. All’epoca è impegnato nel complesso processo di restauro di Palazzo Manzioli e del trasferimento nella nuova sede.
Isola intanto è in burrasca. Gianfranco Siljan e Giuseppe Trani, rispettivamente presidente e vicepresidente della Comunità degli italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” si accapigliano e la comunità si rompe. Nasce la “Dante”. Lui dice di aver cercato di mediare senza successo. Nodo del contendere la cancellazione della distinzione tra soci ordinari e soci sostenitori decisa in fretta e furia dalla comunità isolana per ottemperare alle nuove disposizioni della Legge sulle associazioni.
Da funzionario della Can diventa l’arcigno custode dell’elenco elettorale ed è uno dei sostenitori dell’idea che per essere iscritti agli elenchi bisogna passare al vaglio di una apposita commissione. Per lui la questione è semplice: fanno parte della minoranza solo gli italiani cittadini sloveni, gli altri no. La tesi è che se le regole ci sono queste devono venir rispettate. Bruno dice che il suo pregio è di dire quello che pensa e di pensare quello che dice.
Viene a lungo percepito come un fedele scudiero di Silvano Sau. Ad un ceto punto, però, Bruno deve fare i conti con tutta una serie di problemi, anche di carattere personale, il suo posto di segretario diventa sempre più traballante. Alla fine, viene relegato in biblioteca. Bruno la vive come una punizione frutto dei suoi contrasti con Sau, altri lo percepiscono come un favore di Sau nei suoi confronti. Naufraga, intanto, il matrimonio e il proposito di laurearsi in scienze amministrative. A Bruno non resta che occuparsi di libri.
In biblioteca continua a seguire la politica ed a meditare sul suo ritorno nell’arena. Si ritrasferisce a Capodistria e si risposa. Sceglie di non scendere in campo finché i contrasti con chi l’avrebbe defenestrato sono ancora troppo freschi e sinché sente intorno a sé di essere persona “non grata” in politica: meglio attendere.
Ora il momento è arrivato. Non cerca appoggi, parla dei suoi propositi con sua moglie e con i suoi fratelli e poi decide di provarci.