Quello che si sta dissolvendo è la democrazia parlametare e i valori dello stato liberale. L’ordinamento democratico è in crisi e la prospettiva è quella di veder scivolare gli stati dell’Unione europea verso modelli più o meno rigidi di “democrazie illiberali”. Una dimensione questa dove governare è semplice. Chi vince comanda, prende il controllo di tutti i gangli del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, controlla la stampa, la ricerca e l’economia. In sintesi, tutti i settori della società sono al servizio della struttura al potere. È accaduto in Turchia, in Russia, sta accadendo in Ungheria e potrebbe espandersi anche dalle nostre parti. L’autoritarismo è alle porte e i segni di una stagione molto simile a quella che si visse in Europa tra le due guerre si cominciano ad intravedere. C’è voglia d’ordine e di soluzioni semplici, rapide ed efficaci.
Ogni giorno che passa i valori su cui era costruito l’occidente si vanno disgregando. Una lenta agonia è iniziata con il crollo del Muro di Berlino e con la fine delle ideologie. Una fortuna avevano detto in tanti, niente più contrapposizioni manichee tra il bene ed il male, niente più schieramenti su avverse barricate e niente più scontro di idee. Chi si chiedeva cosa sarebbe rimasto della politica senza l’ideologia, ovvero senza la contrapposizione di opposte visioni del mondo oggi ha la risposta davanti agli occhi: nulla. L’elettroencefalogramma dei partiti tradizionali è oramai piatto, le grosse coalizioni hanno unito nemici storici che stanno, coma al parlamento europeo, tutti insieme appassionatamente per non lasciar spazio nuovi movimenti sovranisti e populisti.
Come dopo la Prima Guerra Mondiale i partiti non hanno più nulla da dire. I loro programmi si fondono e confondono. Gli esponenti dei Popolari europei dicono praticamente le stesse cose dei socialisti e dei liberali ed in fondo tutti sanno che faranno le stesse politiche. Le uniche novità vengono dai populisti e dai sovranisti che hanno anche una rivoluzionaria capacità di mobilitare le masse e di far tornare la gente alla politica. Per capirlo basta andare ad un raduno della Lega e vedere l’entusiasmo che c’è intorno a Matteo Salvini ed ai suoi uomini e paragonarlo agli incontri organizzati dei vecchi partiti dove si presentano leader sciatti, poco carismatici e senza soluzioni semplici da offrire per il futuro.
Di giorno in giorno vengono messi in discussione diritti che sembravano acquisiti. Si torna così a evocare lo spettro del complotto giudaico, le macchinazioni delle lobby gay, la teoria della sostituzione etnica, mentre i paventati diritti delle famiglie arcobaleno sarebbero altro che una minaccia per quelle tradizionali. Ancora una volta è l’utero della donna ad essere al centro dell’attenzione ed anche il suo ruolo di madre e di angelo del focolare. Accade spesso che in un periodo di crisi, d’incertezza e dove il lavoro è sempre più scarso si tenti di risolvere il problema chiudendo la donna tra le quattro mura di casa.
Cresce intanto la sfiducia nel sistema, alimentata ad arte sui social network dove tutti dicono di tutto. Sono canali paralleli di una informazione “alternativa” dove i giornalisti vengono presentati come un manipolo di corrotti al servizio dei potenti, mentre le elezioni sarebbero una foglia di fico per coprire gli interessi dei mercati. D’un tratto i diritti civili non sono più così importanti, mentre la libertà di parola e di pensiero passa in secondo piano.
In Slovenia non mancano coloro che ricordano con nostalgia i tempi della dittatura di Tito: tutti avevano un lavoro, una casa e non c’erano differenze. In sintesi, se si sapeva stare al proprio posto si poteva vivere tranquillamente una pacifica e mediocre vita. Il fatto che la nazione rischiava di dissolversi nel calderone dello “jugoslavismo integrale”, che si potesse finire in carcere per una barzelletta raccontata sul regime, che ci fossero le tessere annonarie per la benzina o che per acquistare una banana bisognava andare all’estero non sembra avere alcun peso. In Italia c’è chi ricorda che il fascismo aveva fatto anche cose buone; mentre alcuni si ispirano a Putin, Orban ed altri presidenti dalla mano forte, dimenticando che l’ultima volta che a Roma c’è stato alla guida dell’esecutivo un uomo così non finì benissimo né per il paese né per lui.
Nulla all’apparenza sta mutando, nulla cambia repentinamente, ma strani venti e strani personaggi si aggirano per l’Europa. Subito dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati uniti, Ervin Hladnik Milharčič, il più lucido commentatore di politica estera in Slovenia (e probabilmente uno dei più acuti in Europa) profetizzò che in sei mesi niente sarebbe successo, che non sarebbe mutato nulla nemmeno in un anno, ma disse anche che alla fine del suo mandato presidenziale il mondo sarebbe stato profondamente diverso e forse non lo avremmo più riconosciuto. Quello che si sta dissolvendo davanti ai nostri occhi è quel progressismo liberale attento alle questioni sociali, ma anche severo custode dei diritti individuali, che si credeva indissolubile. Del resto, l’epoca di Franklin Delano Roosevelt è finita ed è cominciata quella di Trump negli Stati Uniti e forse quella di Orban in Europa.
Stefano Lusa