Ci avevano lavorato per decenni, avevano manifestato davanti alle cliniche abortiste, avevano fatto una caterva di ricorsi ed alla fine hanno vinto. La Corte suprema, non ha depennato il diritto all’aborto, ma ha detto che ogni stato federale può regolare la questione come meglio crede. In America lo stesso principio vale, ad esempio, anche per la pena di morte. Il risultato è che in tutta una serie di Stati entro poche settimane sarà impossibile interrompere la gravidanza.
Il messaggio dei giudici è che le sentenze non sono mai definitive e che negli anni possono anche venir ribaltate. Quello che appare evidente da questa vicenda è che i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte e per essi bisogna lottare ogni giorno. È esattamente quello che hanno fatto i fondamentalisti religiosi che alla fine hanno trovato una facile sponda in una Corte Suprema fatta pendere a destra dalle nomine del presidente Donald Trump.
Non è una questione americana, le idee politiche che si sviluppano negli Stati Uniti per sbarcare sulla nostra sponda dell’Atlantico ci mettono più o meno il tempo che impiegano i telefonini di Steve Jobs ad arrivare nei nostri negozi. Il dibattito sull’aborto oramai è riaperto.
Un tema pericoloso, che prendendo a pretesto il diritto alla vita, in realtà vorrebbe sottomettere al controllo dello stato il corpo della donna e le sue funzioni riproduttive. Una ossessione che diventa il primo mattone di ogni regime teocratico ed autoritario come insegna Margaret Atwood ne "Il racconto dell'ancella".
Stefano Lusa