Ieri al Senato italiano si è consumato l’ultimo atto del Governo giallo verde. Come anomala è stata la sua vita, anomala è stata anche la sua morte. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha, infatti, scelto di parlamentizzare la crisi, riportando in auge quello che fu uno slogan del presidente della Repubblica Sandro Pertini che negli anni Ottanta volle così rendere pubbliche le ragioni delle continue dissoluzioni dei governi rissosi di quegli anni. Si trattava, però, quasi sempre di parlamentarizzazioni imposte dal Quirinale ai Governi e non viceversa. In questo caso invece si è trattata di una mossa non arbitrale, che riporta alla memoria il tentativo di Silvio Berlusconi di resistere alla sfiducia imposta da Umberto Bossi al suo primo Governo nel dicembre del 1994.
E che non sia stato un atto super partes è stato immediatamente chiaro quando Conte ha iniziato a parlare, rivolgendosi a colui che ha innescato la crisi, il suo ministro dell'Interno Matteo Salvini, con parole durissime mascherate dietro ad un colloquiale “Caro Matteo”. Una virata pop della politica italiana, che vede nel “capitano” leghista il principale promotore. Proprio lui, però, ieri è sembrato il meno efficace, dimostrando di essere più a suo agio nelle piazze piuttosto che negli organi istituzionali dove le sue parole sembrano svuotate di ogni forza, come le note di un gruppo punk di autodidatti che cerca di confrontarsi con una fuga di Bach.
Inedita, però, anche la situazione in cui versa il principale partito dell’opposizione, il PD, rappresentato suo malgrado dall’altro Matteo, Renzi, che contando su un granitico pacchetto parlamentare ha cercato di dettare la linea del partito in contrapposizione al segretario Nicola Zingaretti ed alla sua corrente, con la quale è risaputo non scorrere buon sangue.
Gli unici che sembrano essere ritornati nel loro habitat sono sembrati i Cinque stelle, i cui interventi hanno riconquistato l’energia vitale dei primi tempi; come se fossero usciti dall’incanto di Salvini che la senatrice pentastellata Taverna, quasi in conclusione di lavori, facendo riferimento i ai suoi continui cambi di posizione e al ritiro della mozione di sfiducia contro Conte, ha definito con un romanesco “magggico”.
Ora il tutto è passato nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha dettato immediatamente i tempi che anche in questo caso risultano inediti, con un margine di trattativa brevissimo, al termine del quale, se non si troverà una maggioranza solida, si tornerà alle urne. Questa, però, sarà un altro capitolo del grande libro pop della politica italiana.
Barbara Costamagna