La decisione, nonostante il distacco e la quasi indifferenza con la quale è stata accolta, sarà però sicuramente sollevata da qualche consigliere spinto a capire, comprendere più che l’ineluttabilità delle recenti mosse, l’incedere futuro. Sarà interessante vedere come sarà affrontato quello che il presidente dell’assemblea Paolo Demarin ha definito un vaso di Pandora e come si uscirà dall’impasse nella quale si è incappati, dovuta sicuramente a una disarmonia tra atti interni e normative nazionali alla quale non si è saputo o voluto porre rimedio.
Gli otto consiglieri UI che compongono la consulta capodistriana fanno ancora parte dell’Assemblea? Le loro riunioni e decisioni disgiunte sono valide e legali per il massimo organismo rappresentativo minoritario oppure hanno infranto le regole che- forse obsolete e illogiche- nessuno e neanche l’Assemblea nelle assise di Verteneglio è riuscita a cambiare? È possibile, anche dal punto di vista legale, oltre che pratico, una coabitazione tra il presidente dell’UI eletto con il voto diretto da parte di tutta la CNI e il nuovo coordinatore della consulta capodistriana, non legittimato da un’elezione, ma nominato soltanto dai membri della stessa? A questi dubbi e questioni si aggiunge l’incongruenza del comportamento autonomo e fuori dal coro di alcuni membri della Giunta che opportunisticamente, da una parte decidono in un modo e quindi, post festum e, senza alcuna remora, come nulla fosse successo, votano le decisioni dell’esecutivo. Sappiamo quali dovrebbero essere le conseguenze in ogni associazione che ama definirsi democratica. Un’associazione, l’Unione italiana che ama definirsi anche unitaria, ma che lo è sempre di meno. E lo comprova semplicemente anche l’uso - nel linguaggio quotidiano, politico e giornalistico- di Unione italiana di Fiume e Unione italiana di Capodistria, distinzione rara nel passato e diventata frequente o quasi regolare in questi ultimi mesi.
Lionella Pausin Acquavita