La Slovenia riparte. I pazienti ricoverati nei reparti Covid sono scesi sotto quota mille e gli ospedali si stanno lentamente svuotando. Il paese dopo mesi di chiusure sta progressivamente allentando la morsa.
La situazione epidemiologica sta migliorando. Niente più zone nere, ma tutti insieme nella zona rossa e la prossima settimana, secondo le più ottimistiche previsioni, si potrebbe addirittura passare in zona arancione.
Le scuole stanno riaprendo, gli esercizi commerciali pure e persino gli impianti sciistici. La sensazione è quella che si stia tornando alla normalità. Finalmente dopo mesi di buio ci potrebbe essere la luce in fondo al tunnel. Quella luce che nella nostra regione di frontiera è sembrata essere quella del treno che stava arrivando in corsa. Più che gli allentamenti, qui si era sentita la stretta sui transfrontalieri.
Con il resto della Slovenia in tutt’altre faccende affaccendato - alle prese con le sue stanche polemiche tra centrodestra e centrosinistra, ma anche felice per le annunciate riaperture - lavoratori, studenti, genitori e figli hanno dovuto organizzarsi in fretta e furia per procurarsi il tampone. Ore di ricerche, tempo passato a chiamare numeri a cui nessuno rispondeva, centri specializzati presi d’assalto e per qualcuno anche giornate di lavoro perse.
Nella foga di rincorrere l’Austria e di imitare i provvedimenti presi da Vienna, questa volta, il governo ha causato una serie di difficoltà oggettive alla popolazione. Dalla prospettiva lubianese, etnocentrica e centralista forse non se ne sono nemmeno resi conto. Certo è che non hanno sentito il bisogno di chiedere un parere alle periferie e nemmeno di consultarsi con i vicini prima di agire.
Su Lubiana in queste ore molto probabilmente sono piovuti non pochi strali. A muoversi per far ricredere il governo sono stati in molti. Primi fra tutti gli esponenti della minoranza italiana e di quella slovena, che per una volta hanno usato toni tutt’altro che diplomatici per far capire il loro disappunto. Il provvedimento fortunatamente è rientrato in poche ore. È una bene per tutti, ma la preoccupazione resta, almeno dalle nostre parti. Dopo un anno di chiusure a singhiozzo, quello che si rischia è di intaccare un delicato tessuto di relazioni transfrontaliere, colpite dalla pandemia, ma ancor di più da provvedimenti insensati ed arbitrari.
Stefano Lusa