Se le celebrazioni triestine del centenario dell’impresa dannuziana a Fiume sono state la dimostrazione che la classe politica locale non vuole proprio far passare un passato che non passa, il progetto Fiume Capitale europea della cultura non sembra altro che volerlo confermare. Puttanieri con gli stivali, fascisti e comunisti continuano a tenere in ostaggio un’area in cui nazionalismi e dittature hanno lasciato strascichi di cui sembra nessuno voglia o possa liberarsi.
Il restauro del Galeb, il panfilo del padre padrone della Jugoslavia, e la collocazione, il 3 maggio prossimo, di una stella rossa gigante su un vecchio grattacielo cittadino daranno alla Capitale della cultura un’impronta ideologica, che vista dall’esterno non sarà altro che la celebrazione del passato regime.
La cosa non deve sorprenderci. Ogni mossa nel “porto delle diversità” appare assolutamente in linea con quella che è la realtà che si vive da queste parti. Politici, operatori culturali, ma anche la gente comune sentono la necessità di marcare il territorio per rivendicare in maniera eloquente la sua appartenenza nazionale. Proprio per questo Tito è un eroe e la stella rossa un’icona. Del resto, è lui che ha dato Fiume e gran parte di quella che era la Venezia Giulia alla Jugoslavia (e di conseguenza alla Croazia e alla Slovenia).
Non è un caso che le vie e le piazze dedicate al Maresciallo, da queste parti, si siano conservate e che ogni tentativo di cancellarle si sia finito nel nulla scatenando tumultuose polemiche. Con Tito e le stelle rosse, quindi più che celebrare il regime si esalta quello che viene definito “il ritorno alla Madrepatria”.
Il restauro della Galeb e la stella rossa sul grattacielo a Fiume sono quindi perfettamente in linea con un progetto politico, culturale e sociale che è oramai in atto dalla conclusione della Seconda guerra mondiale. Sta di fatto che qui non interessa a nessuno che gli altri eventi culturali inseriti nel programma della Capitale europea della cultura siano destinati ad essere offuscati da scelte che hanno suscitato sin da subito grande impatto mediatico e provocato reazioni politiche sia in Croazia sia all’estero. Un vero peccato! Probabilmente l’ennesima occasione persa per far uscire dal pantano tutta l'area e rilanciare la cultura di un territorio che conferma ancora una volta che l’unica vera religione in cui crede resta il nazionalismo e che dimostra come la sua sbandierata multiculturalità è soltanto immaginaria.
Stefano Lusa