Come sono lontane le "Notti magiche", crepuscolo di tempi in cui gli adulti ci insegnavano a rispettare il prossimo, a comportarci bene, a chiedere scusa e a impegnarci senza nuocere a nessuno. Tempi in cui si aspettavano gli Europei e i Mondiali per appendere la bandiera in balcone, sentirsi italiani, parte di una squadra, parte di qualcosa, con tutti i rituali - più o meno scaramantici, coloriti o colorati - annessi e connessi. Erano tempi in cui le partite si commentavano al bar, sulle panchine dei giardinetti, a scuola o nelle piazze, davanti alle chiese. Erano tempi in cui il calcio era un pretesto per far caroselli con clacson, bandiere, mortaretti e campanacci. Tempi in cui il calcio italiano dominava l'Europa e il Mondo.
E sembrano ancora più lontani dalla prospettiva dei bambini di oggi, che in Italia hanno visto due eliminazioni al primo turno e una mancata qualificazione, figli di un'epoca in cui molto viene filtrato, interpretato e percepito attraverso i social media, che garantiscono sì libertà di espressione a tutti, ma anche la possibilità di nascondersi vigliaccamente nell'anonimato per dar voce agli istinti più vili e alla cattiveria più gratuita, come se tutto restasse nel mondo virtuale. Più che stimolare le emozioni e i sogni, anche il calcio si presta oggi a incanalare e moltiplicare gratuitamente odio, insulto e rabbia. I bambini di oggi sono figli di chi non sa riconoscere le fake news, di chi esulta per 629 poveri disgraziati rimbalzati in mare aperto, per una testa di maiale recapitata ai richiedenti asilo, di chi insulta gratuitamente figure pubbliche e professionali, magari qualificate, oneste e competenti.
D'altronde i Mondiali, nella loro futilità, dimostrano che il mondo va avanti anche senza il nostro Belpaese, che pur rimanendo il più bello del mondo, si sta tristemente lasciando andare alla deriva dell'insulto, della saccenza, dell'arroganza, della cattiveria gratuita e dell'uso approssimativo del congiuntivo. Dove la colpa è sempre sistematicamente di qualcun altro.
E allora guardiamoceli questi Mondiali, equilibrati e colorati, visto che una volta tanto non abbiamo quel patema d'animo, quello stress, quel coinvolgimento emotivo che - benedetto e maledetto - in un certo senso ci logora i nevi. Perché diciamocelo: quando c'è l'Italia si guarda solo l'Italia, iniziando a preoccuparsi sin dai sorteggi del terzino dell'Equador di cui si dice un gran bene o per la Norvegia che ha un centravanti alto. Speriamo almeno che dietro l'eliminazione dal Mondiale non ci sia un mero gioco delle tre carte ma un'opportunità di ricominciare a giocare, a divertirci, a prendere il calcio per quello che è: il gioco più bello del mondo.
Alla fine della fiera, nello sport la competizione e i risultati sono una componente minore e minoritaria. Il grosso è composto dalla narrativa, dall'interpretazione e dalle storie che vengono generate, dal modo in cui raccontiamo e incanaliamo le emozioni legate alla partecipazione sportiva. Fondamentale è anche il modo in cui queste storie e queste emozioni vengono interiorizzate e percepite, entrando nelle nostre vite, generando reazioni e aneddoti, che diventeranno ricordi.
Non dimentichiamoci di cosa significava per noi il calcio da bambini e che i bambini ci guardano, ci ascoltano e ci imitano. Ricordiamoci che stiamo parlando di un linguaggio universale, capace di coinvolgere, far sognare e divertire miliardi di persone di ogni età, ceto sociale, cultura, genere e professione, in ogni angolo del globo. Perche' in fondo tutti siamo (stati) bambini, poche cose ci accomunano come il gioco, il pallone e l'innocente divertimento.
I problemi della vita sono decisamente altri.