La petizione per il restauro della scuola italiana di Capodistria, promossa da alcuni genitori, ha provocato una tempesta in un bicchier d’acqua. L’iniziativa non è stata presa bene dalla locale Comunità autogestita e nemmeno dalla scuola. I vertici della minoranza si lamentano di non essere stati consultati; i promotori ribattono che sono passati i tempi in cui si doveva chiedere il permesso o informare le autorità per muoversi. In effetti, la società civile non ha bisogno di ottenere luce verde dalle istituzioni. Sta di fatto che a promuovere l’iniziativa non sono stati genitori qualsiasi, ma i soliti noti. Se è vero che Luka Juri, Clio Diabaté e Sandro Vincoletto non avevano bisogno di domandare nulla a nessuno, è altrettanto lecito chiedersi se la loro finalità è solo quella di dare una mano (a modo loro) ad accelerare le pratiche per il restauro della scuola o se il tutto non è che una manovra per mettere in difficoltà la leadership capodistriana della minoranza. Potrebbe essere, infatti, il preludio della loro scalata ai vertici comunitari ed a questo punto non rimane che guardare quello che accadrà nei prossimi mesi.
Che la questione abbia assunto i toni del confronto politico all’interno di diverse correnti della minoranza è apparso evidente al momento della presentazione della petizione, quando è andato in scena un siparietto di straordinaria comicità che ha visto come protagonisti il presidente dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul e quello della Comunità Autogestita Costiera, Alberto Scheriani. Tremul si è presentato all’appuntamento con la promessa di un milione di euro e Scheriani ha dato ad intendere, molto esplicitamente, che nessuno glielo aveva chiesto. I due non si sopportano e lo scontro dura oramai da anni, ma ora tutto si sta spostando anche sul piano istituzionale, tanto che si sta riaprendo il dibattito sulle competenze e sulla rappresentatività della Comunità Autogestita Costiera e dell’Unione. La questione era stata materia di confronto anche in passato. Alla fine ci si accordò informalmente assegnando all’Unione la “politica estera” e la cura dei connazionali in Croazia, mentre la Comunità Autogestita costiera e le Comunità Autogestite comunali si sarebbero limitate ad occuparsi del loro giardino di casa, senza velleità di intessere relazioni con Roma, Trieste o di intrecciare rapporti con il resto della minoranza residente in Croazia e con le sue istituzioni. Ora le cose stanno cambiando.
Il deputato Felice Žiža - che lavora a stretto contatto con Scheriani e la Comunità Autogestita Costiera - in quest'ultimo anno, non ha mancato di farsi sentire a Roma, Trieste ed anche in Istria. I soliti bene informati dicono che il messaggio non è sempre stato uguale a quello di Tremul. Žiža in questi mesi ha fatto tappa in numerose Comunità, Tremul lo ha seguito a ruota. Che la leadership vada a sentire la “base” è una prassi che mancava ormai da molto, troppo tempo. I due spesso si sono trovati davanti sale semivuote ed ad un pubblico di anziani. Gli spunti nuovi - stando alle cronache - sono stati pochi e le idee innovative ancora di meno. La situazione è grave. L’italianità adriatica sembra sciogliersi come neve al sole. Oggi sarebbe necessario elaborare nuove strategie per evitare che venga ulteriormente erosa da altre molteplici identità. Un compito difficile per la leadership minoritaria. Molto più facile discutere di rappresentatività e competenze.
Stefano Lusa