Se dovesse dipendere da una fetta consistente della leadership minoritaria il dialetto sarebbe già obbligatorio nelle scuole. Oramai la sua tutela è diventata una vera e propria ossessione. Si sprecano iniziative politiche e culturali per valorizzare un aspetto che ha un valore identitario esclusivamente locale e che serve ad annacquare ancor di più l’idea di essere una comunità italiana.
Agli italiani dell’Adriatico orientale, del resto, già il regime comunista jugoslavo aveva consentito di avere esclusivamente una valenza folcloristica fatta di balli, cori, e filodrammatiche. L’obiettivo era quello di creare un gruppo di fidati socialisti jugoslavi di nazionalità italiana, con ben pochi legami con l’Italia vera e propria. L’idea era quella di differenziare, quanto più e quanto più profondamente, la comunità dei rimasti dal resto del popolo italiano per poi farli sciogliere in una non ben definita identità jugoslava. Gli sforzi del regime non sono stati vani. Non a caso, negli anni Ottanta, proprio mentre si stava sfaldando l’idea dello jugoslavismo, molti “italiani” d’Istria trovarono un sicuro rifugio nell’invenzione dell’istrianità. Un nuovo appiglio per essere qualcosa d’altro: non del tutto italiani, ma nemmeno sloveni o croati. Una maniera comoda per poter essere accettati, senza eccessivi problemi dai propri vicini di casa.
Così, mentre tra gli sloveni l’idea dell’istrianità non ha preso piede e tra i croati è sempre e comunque in subordine rispetto all’identità nazionale, nella comunità italiana è vista con crescente simpatia, tanto che adesso si sente la necessità di inventare anche una lingua: l’istroveneto. Siamo a caccia di uno strumento di pensiero debole, adatto per discutere delle faccende domestiche e a scrivere qualche racconto su come “se copa el porco”. La valorizzazione del dialetto, in Istria, sta facendo felici i venetisti e gli indipendentisti veneti che accorrono alle iniziative che organizziamo per tutelare “l’istroveneto”, ma questa “lingua” del cuore difficilmente potrà aiutarci a confrontarci con il mondo.
Intanto nella realtà di ogni giorno l’italiano, dalle nostre parti, va sparendo. Il bilinguismo sul territorio è solo formale, nella pubblica amministrazione lo capiscono in pochi e lo parlano ancor in meno. La lingua si va dissolvendo anche dalle nostre istituzioni. Oramai sembra avere la funzione che il latino aveva quando si doveva dire messa. L’italiano parlato in Istria a Fiume o in Dalmazia è una lingua sempre più povera, infarcita di calchi sloveni e croati, fatta di costruzioni improbabili: per rendersene conto basta entrare in una qualsiasi scuola della comunità nazionale o passeggiare per i corridoi delle nostre istituzioni.
Chi regge le redini della minoranza non dovrebbe farsi ammaliare da chi vorrebbe presentare l’istroveneto come una specie di lingua madre, più importante e più identitaria dell’italiano stesso. Inutile nascondersi dietro un dito: più dialetto significa automaticamente meno italiano e meno italiano vuol dire che per pensare, comunicare e confrontarci con il mondo verrà usato sempre più lo sloveno o il croato. Un modo eccellente e rapido per far sparire la comunità italiana.
Stefano Lusa