La lotta sarà all’ultimo voto. L’assalto al fortino del governo Janša prenderà corpo, probabilmente solo dopo il prossimo congresso del Desus, quando alla guida di partito dei pensionati potrebbe tornare una vecchia volpe della politica slovena: Karl Erjavec. Lui non ha mai avuto grandi difficoltà a passare indenne dai governi di centrodestra a quelli di centrosinistra e viceversa. Il gioco ora è quello di trovare i 46 voti necessari per far cadere l’attuale esecutivo.
L’ordinamento costituzionale sloveno prevede, su modello tedesco, l’istituto della sfiducia costruttiva, quindi per far fuori un premier bisogna eleggerne un altro. Nel centrosinistra già si fregano le mani ed i soliti bene informati dicono che Jože P. Damijan potrebbe avere l’appoggio necessario, ma più che certezze quelle che ha in tasca sono promesse. Intanto il governo traballa, anche grazie alle uscite del premier Janez Janša, che in pochi giorni ha fatto parlare della Slovenia a livello internazionale grazie ai suoi tweet ed alle sue lettere. Prima l’appoggio a Trump e poi quello ad Orban ed alla Polonia, non hanno mancato di provocare sussulti anche all’interno della sua coalizione.
Da tempo i sostenitori e detrattori di Janša giocano le loro carte senza esclusione di colpi. Quello che è certo è che tutti i voti dei deputati presenti in parlamento peseranno e pure tanto. Anche quelli dei parlamentati delle comunità nazionali. Proprio in queste occasioni, come per incanto, in Slovenia ci si rende conto che esistono anche loro. Non sarà un periodo facile per Felice Žiža e Ferenc Horváth. In questa legislatura hanno votato sia per l’insediamento del governo Šarec sia per quello di Janez Janša, ma ne nell’una e nemmeno nell’altra occasione hanno voluto essere l’ago della bilancia. Il messaggio che i due esponenti della minoranza hanno lanciato al paese è che è inutile venire a cercare da loro il quarantacinquesimo ed il quarantaseiesimo voto necessario per raggiungere una striminzita maggioranza.
Stefano Lusa