La Resistenza italiana era una altra cosa. Tra i gruppi partigiani solo i comunisti sognavano di sostituire una dittatura con un’altra. Gli altri volevano la democrazia, credevano che i loro avversari politici dovessero avere diritto di parola e non dovessero finire in carcere per le loro idee. Il paese, così, risorse su basi democratiche, fatte da cattolici, liberali, azionisti e socialisti a cui, presto, si adeguarono anche i comunisti, quando compresero che il sogno della rivoluzione era definitivamente cancellato. Lo capirono presto i leader nazionali del partito, ma il sogno svanì tardi al confine orientale. Proprio qui le stelle rosse sui tricolori italiani e jugoslavi non vollero dire liberazione per tutti; tanto che una fetta significativa della Trieste italiana crede che quel giorno sia arrivato solo il 12 giugno del 1945, quando le truppe di Tito lasciarono la città. Non così per gran parte della comunità slovena e per i comunisti locali che vedevano proprio in quei soldati la realizzazione del sogno nazionale e quello della prospettiva rivoluzionaria.
Due memorie che si scontrano a Trieste ogni 25 aprile e ogni I maggio, dove si confrontano gli spettri di una storia che continua a pesare sulla nostra regione. Una vera e propria guerra fatta di simboli e bandiere. Una realtà parallela che probabilmente poco o nulla c’entra con quella del resto d’Italia. Il poeta sloveno Andrej Rozman- Roza, anni fa a Lubiana, durante una manifestazione pro-migranti, tuonò dal palco dicendo che la sinistra non si doveva far rubare dalla destra la bandiera slovena. Quella- disse- è anche la nostra bandiera e non possiamo lasciarla nelle mani di xenofobi e ed estremisti di destra. L’appello fece così tanta presa, che quando il corteo della sinistra si incontrò con quello degli anti-migranti intonò a squarciagola l’inno nazionale, lasciando sbigottiti gli altri.
In Italia, e a Trieste in particolare, la sinistra sembra incapace di arrivare a tanto e nei loro cortei si vede oramai di tutto: bandiere della federazione jugoslava, quelle della repubblica socialista di Slovenia (che nulla hanno a che fare con quella dei gruppi partigiani che nel maggio del ’45 entrarono a Trieste), bandiere palestinesi e quelle del movimento transessuale. Quello che non si vede o quasi sono le bandiere italiane, simbolo di quella Repubblica che ha saputo ricostruire una società democratica, pluralista e libera. Talmente libera, che ieri a Milano un gruppo di Irriducibili della Lazio ha persino potuto inneggiare a Benito Mussolini a due passi da Piazzale Loreto. La Liberazione e la libertà sono anche questo, peccato non capire che possono essere celebrate da tutti sotto la stessa bandiera.
Stefano Lusa