Ervin Hladnik Milharčič, uno dei più lucidi commentatori sloveni, passato in queste settimane per Kiev, non ha esitato a definire partigiani gli ucraini in armi. Fanno la stessa cosa che faceva la Resistenza durante la Seconda guerra mondiale: combattono contro un nemico che a prima vista potrebbe sembrare soverchiante. Proprio i partigiani però ci insegnano che mai tutto è perduto e che vale la pena combattere per la libertà.
Il presidente russo Vladimir Putin con la sua azione ha fatto ripiombare il mondo nel ‘900, dimostrando che guerra e nazionalismo sono opzioni percorribili anche nel 2022. Le premesse per capire dove stava andando c’erano tutte, ma si è preferito non vederle, in nome degli investimenti dei suoi oligarchi in Occidente e di forniture di gas, barili di petrolio e altre materie prime.
Le tesi di Putin sui russi sono fin troppo simili a quelle espresse nel 1986 nel famigerato Memorandum dell’Accademia delle arti e delle scienze di Belgrado, che voleva tutti i serbi uniti sotto lo stesso tetto. Ora c’è chi ingenuamente consiglia gli ucraini di cedere la Crimea e lasciare andare le repubbliche separatiste russofone dell’Est. Una tattica che in passato non ha dato alcun frutto, come insegna il Patto di Monaco del 1938 con la Germania, e che potrebbe non placare le mire egemoniche di Mosca. L’ipotesi, che è in aperto contrasto con gli Accordi di Helsinki del 1975, che sancirono l’inviolabilità delle frontiere e che garantirono pace e stabilità in Europa, intanto rischia solo di scoperchiare il vaso di Pandora dei nazionalismi. Secondo la commissione Badinter, che si occupò della dissoluzione dell’ex Jugoslavia, i prìncipi sanciti dagli accordi di Helsinki in fatto di frontiere dovevano essere applicati anche per i confini interni. Detta in parole povere le minoranze avrebbero diritto ad essere tutelate, ma non all’autodeterminazione. Ora se i confini ucraini dovessero cambiare tutto ciò non farà che portare vento nelle vele delle mire egemoniche dei russi e di Putin, ma anche di tutti quei politici che non hanno mai accantonato i sogni di ridisegnare i confini anche nei Balcani. Stiamo pericolosamente ripiombando in una nuova età dei nazionalismi. C’è d’aver paura!
Lusa Stefano