Ad iniziare le danze ci ha pensato Janša con un tweet di “quasi” congratulazioni per la ipotetica vittoria di Donald Trump alle elezioni americane. Poi il capo del Governo aveva rincarato la dose litigando con il portale Politico e con gli eurodeputati, dopo aver ingaggiando una battaglia senza quartiere in Patria contro i media colpevoli di essere in mano alla sinistra liberale. In poco tempo Lubiana è riuscita a scucirsi di dosso quello che restava della sua nomea di prima della classe, di Paese di nuova entrata più diligente e rispettoso delle regole europee, per venir sempre più spesso affiancata ad Ungheria, Polonia ed al resto del gruppo di Visegràd. Questioni locali, comunque, faccende che riguardano l’Europa dell’Est ed i suoi “innovativi” modelli democrazia “illiberale”. A far accendere i riflettori su Lubiana, però, ci ha pensato il presidente Pahor. E’ bastata la sua visita a Sarajevo, accompagnata dall’improvvida domanda sulla divisione pacifica della Bosnia, per scatenare una ridda di polemiche e per far spuntare dal nulla un presunto non paper “sloveno” che caldeggerebbe una nuova divisione etnica del calderone balcanico. L’idea non è nuova e somiglia fin troppo a quel Memorandum dell’Accademia delle arti e delle scienze di Belgrado che fu la piattaforma ideologica che ispirò le mire espansionistiche serbe e le successive guerre jugoslave.
Quello che stupisce è il fatto che Pahor non abbia esitato porre all’attenzione degli “amici” della presidenza della Bosnia quello che a suo dire sarebbero state voci che sarebbero circolate a livello europeo. Come si poteva facilmente supporre l’“amico” Milorad Dodik non ha mancato di sfruttare la cosa per portare acqua al suo mulino, perché come insegnano gli inglesi in politica estera non si hanno amici, ma interessi e Dodik non nasconde che il suo è quello di separare la Republika Srpska dal resto della federazione bosniaca. Il lato buono della faccenda però è che con la polemica la questione è chiusa e adesso di divisione della Bosnia non si parlerà più...almeno per qualche anno.
Stefano Lusa