In fondo, nel calcio ci siamo abituati. Perché da che mondo è mondo, impiegati del catasto, parrucchieri, ingegneri elettromeccanici, postini, manovali e capocantieri dispensano regolarmente lezioni di tecnica, di tattica e di strategia calcistica, senza necessariamente mai aver preso a calci non dico un pallone ma nemmeno una pigna camminando distrattamente. Diciamocelo: gli allenatori, i commissari tecnici e i dirigenti sportivi non capiscono niente, anche se hanno talvolta esperienze pluriennali e qualifiche rilevanti: "se era per me....". Al netto della saccenza, dell'arroganza, della buona educazione e del rispetto per le opinioni e il lavoro altrui, in fondo non c'è nemmeno niente di male nel coinvolgere emotivamente un ampio pubblico, anche dibattendo a oltranza, in modo più o meno colorito.
Sarà per l'assenza dell'Italia dai Mondiali, sarà perché la tecnologia e la rete ci forniscono opportunità inimmaginabili di erudirci spannometricamente su tutto lo scibile umano, ma qui la situazione pare stia sfuggendo di mano. Basta aprire un qualsiasi social media per rendersene conto. Al giorno d'oggi ormai si passa con sconvolgente disinvoltura dall'indossare i panni dell'immunologo a quelli del politologo, passando attraverso quelli del costituzionalista, dell'ingegnere edile, dell'economista e di chissà quale altro professionista qualificato. Sicuramente non del letterato, giudicando il livello medio del rispetto delle regole della grammatica e dell'ortografia. I toni devono essere alti e sprezzanti, a volte anche oltre la soglia dell'insulto, meglio se diretto a persone oneste e competenti. E meglio ancora se con il filtro dell'anonimità, che raddoppia il dolore di ogni sberla.
E noi che mastichiamo di calcio da qualche tempo, quasi ci sorprendiamo della calma apparente che circonda questi Mondiali. Quasi non ci par vero di poter guardare le partite con tranquillità e di considerare questo splendido sport per quello che è: il gioco più bello del mondo, tanto semplice da capire quanto potente nell'emozionare platee enormi, globali, diversificate e - paradossalmente - in crescita. Nello Stivale ci si sta riempiendo la bocca di parole come "opportunità", "rinnovamento", "ripartire dai giovani", che suonano davvero bene e che ci si augura che in qualche modo divengano realtà.
In fondo, nel calcio e sui social "vale tutto". Sulla Gazzetta c'è spazio pure per le parole, davvero non banali, di Aliou Cissé: "Sono molto orgoglioso del lavoro fatto dalla mia squadra, ma il Senegal non si è qualificato perché non meritava di farlo. I punti regalati al fairplay fanno parte delle regole stabilite per il torneo e dobbiamo rispettarle. Ovvio che avrei preferito uscire in un altro modo ma la cosa funziona così e noi sapevamo fin dall'inizio che queste erano le regole". Il ct più giovane dei mondiali, l'unico proveniente dall'Africa Nera. Parole che fanno riflettere, perché pronunciate subito dopo l'eliminazione del Senegal, finito in una situazione di parità assoluta con il Giappone, che ha però ottenuto meno ammonizioni degli africani. E' la prima volta che il criterio del "fairplay" viene utilizzato, ed è paradossale che ne benefici una squadra che non si è certo dannata l'anima per raddrizzare una partita persa contro un avversario già eliminato. Il ct di un paese povero che non punta il dito contro un paese ricco.
Al di là di tutto, sarebbe fantastico se questi Mondiali riuscissero a farci finalmente vedere e accettare il calcio per quello che è. Cioè un mezzo per far saltare collettivamente e simultaneamente una nazione - il Messico - tanto da innescare un terremoto artificiale percepito dai sismografi. Come un mondo nel quale esiste la versione sud-coreana di Oronzo Canà che mischia i numeri dei suoi giocatori nelle ultime amichevoli per confondere gli osservatori avversari, al grido di "per voi occidentali i miei giocatori sono tutti uguali". Tanto da far emozionare a un gol una russa incinta fino al punto di partorire in modo prematuro, che battezza ovviamente il figlio con il nome di battesimo del marcatore. Il principio di base rimane semplice: il calcio - lo sport - è molto di più di una partita di pallone o delle performances degli atleti (d'élites). Perché è un momento di distrazione e di divertimento per milioni di persone che soffrono, che hanno dei problemi, che non riescono a dormire la notte, che sono insoddisfatte, che sono dimenticate, ostacolate, che non riescono o non possono reagire. Un momento di gioia, di emozione, di distrazione.
Perché in fondo, guardando al tabellone degli ottavi, fino a ora ci sono sedici squadre che rappresentano sedici nazioni: si tratta di squadre dietro cui ci sono milioni di appassionati, di tifosi, di bambini, di uomini e di donne, che ogni giorno provano a svoltare la giornata, facendo del loro meglio, lottando con le avversità. Persone che aspettano di potersi guardare la partita, magari con gli amici, magari dopo una giornata faticosa e facendo attenzione a tutta una serie di rituali e preghiere. Persone pronte a gioire, a trattenere il fiato, a gridare, a saltare, ad abbracciarsi, a urlare e sbracciarsi. A gioire per la vittoria e a disperarsi per la sconfitta. Un po' come tutti noi. Al di là del piano tecnico-tattico, delle scelte, delle giocate e degli episodi, il calcio è un gioco semplice: vince chi fa più gol e/o chi ne prende di meno. Ognuno dei calciatori, degli arbitri, degli osservatori e dei tifosi ha la sua storia, la sua sensazione, i suoi ricordi collegati a ciascuna partita. Alcuni scompariranno nel nulla, altri rimarranno
vividi per tutta la vita.
E allora, voi che amate queste emozioni, voi che amate questo gioco, predicate la passione, il sorriso, il rispetto per avversari, arbitri, compagni di squadra, arbitri, pubblico e per chiunque si trovi a una partita. Predicatelo, perché la fuori tira una brutta aria, fatta di odio, di rabbia, di cattiveria, di saccenza e vigliaccheria. Preserviamo questo gioco, sperando che rimanga un gioco. E più che ai genitori, che ormai li abbiamo persi dietro alle bollette, al lavoro e a mille robe noiose, mi piace rivolgermi ai bambini, di qualsiasi età: rivendicate il diritto di giocare, di divertirvi, di sorridere, di vincere, di perdere e di fare del vostro meglio, su un campo come nella vita.
E chiedete aiuto ai nonni. Forse ancora non lo sapete, ma avete un nemico comune.