La fitta tela lentamente tessuta da Šarec potrebbe presto essere ultimata. A questo punto dovrebbe avere i voti più che sufficienti per diventare capo del governo, tanto che il consenso potrebbe addirittura superare la magica soglia dei cinquantadue deputati della sua strampalata maggioranza. Al pentapartito - composto dalla sua lista, dai pensionati, dal partito di Cerar, da quello di Alenka Bratušek e dai Socialdemocratici – ora non resta che attendere l’esito del referendum interno della Sinistra che dovrebbe dare luce verde alla sua nomina e all’appoggio esterno al suo esecutivo. Il sì a Šarec sembra scontato. I socialisti radicali, infatti, non possono rischiare di essere accusati di aver aperto le porte, con la loro intransigenza, ad un governo Janša o di aver portato il paese alle elezioni anticipate.
Per la Sinistra entrare nel governo era oggettivamente difficile. Nel loro radicale programma si dichiara guerra alle privatizzazioni, si chiedono salari più alti, tagli alle spese per la difesa, si sogna l’uscita dalla NATO, la rimozione delle barriere anti migranti al confine con la Croazia e si guarda con nostalgia alla Jugoslavia di Tito; tanto che un loro deputato, Miha Kordiš, ha pensato bene di presentarsi ai negoziati con una maglietta con l’effige dell’autocrate balcanico.
Il partito sta benissimo all’opposizione. Nello scorso mandato ha dimostrato di saperla fare perfettamente, mentre le sue pittoresche figure, probabilmente, si troverebbero meno a loro agio nella stanza dei bottoni. Tra i nomi dei potenziali capi dicastero anche quello della battagliera deputata Violeta Tomič. Le voci dicevano che l'attrice - nota al pubblico balcanico anche per aver interpretato il ruolo della zingara nella serie trash serba Kursadžije - avrebbe potuto andare a ricoprire la prestigiosa poltrona di ministro della Cultura.
Adesso la Sinistra parla di un accordo di programma, che non vedrebbe comunque i loro uomini entrare nell’esecutivo. Quello che non è chiaro, al momento, è se sono stati loro a volere il negoziato con Šarec o se è stato l’ex comico a costringerli a sedere al tavolo della trattativa prima di andare a chiedere alla Camera la poltrona di presidente del consiglio. Appariva, infatti, scontato che, in funzione anti Janša, i voti della Sinistra sarebbero comunque confluiti su Šarec. Adesso, dopo aver contrattato e ottenuto qualcosa, le critiche che verranno lanciate all’esecutivo dai socialisti usciranno almeno depotenziate, visto che Šarec potrà ribattere avrebbero potuto prendersi la responsabilità di entrare nel governo per far sentire più forte la loro voce.
A questo punto il sindaco di Kamnik ha in tasca due programmi di governo: uno armonizzato con i democristiani liberisti di Nuova Slovenia e l’altro con la gli anticapitalisti della Sinistra. Potrebbe bastargli per barcamenarsi con un esecutivo di minoranza che andrebbe a raccogliere su alcuni temi i consensi di Nuova Slovenia e su altri quello della Sinistra. Governare non sarà facile, ma potrebbe essere possibile. Non è però escluso che la maggioranza si possa trovare in extremis.
La cervellotica procedura di investitura del governo in Slovenia lascia ancora spazi di manovra a Šarec e ai suoi uomini. La scelta del primo ministro non è altro che la prima fase della nomina del governo. Quando Šarec otterrà l’incarico dovrà presentarsi alla Camera con la lista dei ministri per incassare la fiducia. Nella storia della repubblica è già accaduto che una maggioranza nominasse il premier ed un'altra il governo. Lo stratagemma riuscì, nel 1996, al machiavellico Janez Drnovšek. All'epoca i cosiddetti partiti della primavera slovena ottennero 45 deputati, gli altri si fermarono a 43 a cui andavano aggiunti i due esponenti delle minoranze nazionali. Drnovšek venne eletto capo del governo con i voti del centrosinistra, dei nazionalisti di Jelinčič, dei due deputati della minoranza e di un transfuga democristiano. Per fare il governo il leader Demoliberale scaricò i nazionalisti e cooptò i Popolari, che entrarono in quella coalizione bramosi di costruire nuovi ponti: alla fine riouscirono solo a perdere consensi.
Non è escluso pertanto che, una volta conferito l’incarico a Šarec, possa tornare in gioco la possibilità di trovare una intesa vera e propria con Nuova Slovenia. Con i democristiani il programma è armonizzato e sarebbero già stati spartiti i ministeri. Rimarrebbero da definire solo i nomi. Il leader del partito Matej Tonin potrebbe presentarsi davanti ai suoi uomini e difronte ai suoi elettori spiegando che l’allenaza con Šarec&Co. sarebbe l’unica via per salvare il paese da una radicale svolta a sinistra. Sul piatto potrà mettere le privatizzazioni, il via libera al privato anche nel comparto sanità e scuola, un più sicuro ancoraggio alla NATO e la decisa difesa dei confini dai migranti.
L’intesa, più che per volontà di Tonin, fin ora è stata bloccata dalle molte pressioni esterne che non veorrebbero rotta la tradizionale alleanza con i Democratici di Janez Janša. Quest'ultimo, uscito con la maggioranza relativa alle scorse politiche, si è visto sbattere in faccia la porta da tutti o quasi. A nulla gli è servito nemmeno l’appoggio del capo dello stato, Borut Pahor, che ha fatto capire in tutti i modi che sarebbe stato ben contento di assegnargli l’incarico. Janša, in due mesi non si è praticamente mosso ed ha lasciato fare a Šarec. Probabilmente confidava nell'inesperienza dell'ex sindaco di Kamnik e sulla sua incapacità di riunire nell’esecutivo tante forze politiche piene di prime donne. Šarec alla fine si è dimostrato molto più bravo di quello che si credesse. Ad onore del vero bisogna, però, dire che ad aiutarlo è stato anche il fatto che gli elettori del pentapartito e della Sinistra, difficilmente perdonerebbero ai loro partiti l’entrata in un esecutivo guidato da Janez Janša.