Dai tamponi per i transfrontalieri alla rimozione dei controlli al confine in una sola settimana. La Slovenia a sorpresa ha deciso di togliere dai valichi i poliziotti che erano stati mandati lì a marzo. All’epoca si stabilì di chiudere anche tutte le strade secondarie tra Italia e Slovenia, dove vennero messe barriere e persino massi. La cosa non mancò di destare preoccupazione e di essere interpretata come l’ennesimo fallimento dell’idea della casa comune europea. L’immagine più significativa venne da Piazza della Transalpina, tra Gorizia e Nova Gorica, simbolo dell’allargamento dell’Unione Europea e della libera circolazione, dove venne eretta una rete tra lo sconcerto degli abitanti delle due città. Alla fine, quelle transenne vennero rimosse, addirittura con una cerimonia che coinvolse i due sindaci. Il presidio dei poliziotti ai principali valichi, però rimase lì. Si disse che servivano per sorvegliare eventuali arrivi ingiustificati da paesi terzi, ma molti continuarono a chiedersi cosa ci stessero a fare. Poi la nuova chiusura. Il lockdown sloveno, il blocco delle regioni e quindi anche del passaggio del confine a cui sono seguiti analoghi provvedimenti italiani. Contatti formalmente nuovamente interrotti e vita stravolta per chi il confine lo passa ogni giorno, non solo per lavoro o comprovati motivi, ma anche per semplici reti di relazioni. Regole severe che, almeno dalle nostre parti, non si sono trasformate in una ossessiva difesa del fortino. Questa volta niente barricate ai valichi secondari e controlli solo alle principali frontiere. La sensazione è che la polizia abbia applicato le regole, ma che abbia anche cercato di interpretare i provvedimenti venendo il più possibile incontro ai cittadini. Così sono proprio quegli agenti che hanno passato quest’anno alle intemperie, sotto un improvvisato tendone al confine, quelli che da questa storia ne escono meglio.
Stefano Lusa