Il Sommo Poeta ci ha lasciato sette secoli fa, eppure quel capolavoro che chiamiamo Divina Commedia ci parla ancora. Dante ha molte prerogative che ce lo avvicinano, afferma il professor Gian Luigi Beccaria, eminente storico della lingua e saggista davvero molto noto al grande pubblico, che per la sua lunga e appassionata opera di studioso ha appena ricevuto il premio Dante-Ravenna. "Innanzitutto Dante non è linguisticamente lontano. Mentre il francese o lo spagnolo delle origini o l'inglese antico per un uomo del Duemila è lontano e va tradotto, la lingua di Dante - salvo le parti più complicate, come quelle scientifiche, teologiche o astronomiche - è una lingua facile. Lo diceva anche Eliot, "is easy to read". In secondo luogo, gli uomini che Dante condanna, sui quali si adira, sono uomini che sono stati corrotti dalla moneta, dal mercato. Direi che la vicinanza, in un mondo oggi governato dal denaro, è notevole".
Ma Dante - spiega ancora Gian Luigi Beccaria - va letto anche perché è per noi 'memoria'. "Come faccio a leggere Bassani, Meneghello, Primo Levi, senza incontrarvi continuamente riprese, citazioni di Dante, un poeta che continua ad essere vicino? Non parliamo poi della poesia del Novecento, tutta intrisa di forme, di citazioni a volte anche inconsapevoli. La sua è una presenza continua. Certo, c'è anche Petrarca, ma per quanto riguarda la perfezione formale. Negli ermetici, per esempio, la presenza di Petrarca è imponente. Dante, invece, è presente nelle avanguardie, negli espressionismi. Quando si ha bisogno di una lingua scapigliata, forte, colma di neologismi e di invenzioni, di forza, c'è lui, Dante". La qualità più peculiare della sua lingua? "La capacità di percorrere tutti i toni e i registri, trascorrendo dal linguaggio più crudo e realistico dell'Inferno ai toni eterei del Paradiso. C'è veramente un'ascesa anche sul piano della lingua".
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